La Cassazione e il lavoro sportivo dilettantistico
di Guido MartinelliNelle scorse settimane è diventata virale, sui mezzi di comunicazione di massa, la notizia di una sentenza della Corte di Cassazione secondo la quale la mera attività di fitness posta in essere da una palestra formalmente iscritta al Registro Coni delle società e associazioni sportive dilettantistiche non consentirebbe il riconoscimento agli istruttori dei c.d. compensi sportivi di cui all’articolo 67, comma 1, lett. m), Tuir seminando grande preoccupazione presso i gestori di impianti sportivi
Contrariamente a quanto si è letto, come commento alla decisione in esame (per la cronaca stiamo parlando della sentenza n. 21535 del 20.08.2019) la mia interpretazione è che si tratta, invece, di una sentenza importante e positiva per il mondo delle associazioni e società sportive affiliate a Federazioni sportive nazionali.
Infatti, la considerazione di partenza quando si affronta il tema dei compensi sportivi è stata, per lungo tempo, se questi potessero essere riconosciuti anche a soggetti che “lavoravano” nel mondo dello sport dilettantistico o, invece, soltanto a coloro i quali svolgevano detta attività per “diletto”, ossia avendo comunque un’altra attività lavorativa diversa da quella sportiva che veniva svolta in via principale. Ciò sul presupposto che la categoria dei compensi sportivi aveva una disciplina solo fiscale e che, non prevedendo alcuna tutela assicurativa o previdenziale per i lavoratori, non potesse essere estesa anche ai lavoratori dello sport.
Solo dal 2014, con una prima sentenza della Corte d’Appello di Firenze n. 683/2014 a cui fecero seguito altre Corti di merito (Milano e Bologna) e con una serie di documenti di prassi amministrativa (per ultima la circolare 1/E/2016 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro) si fece spazio l’interpretazione per la quale sarebbe stato possibile, visto il valore sociale dello sport, riconoscere i compensi sportivi “anche” a soggetti che svolgevano nello sport la loro attività principale.
Va detto che tale tesi, però, non era stata ancora pienamente accolta a livello di giudizi di legittimità (in senso contrario, infatti, tra le tante, la sentenza della Corte di Cassazione civile n. 31840/2014).
La sentenza in esame (e voglio richiamare qui un altro precedente conforme della Suprema Corte di Cassazione, ordinanza n. 11492 del 30.04.2019), anche se indirettamente, sembra invece accogliere la tesi della circolare Inl del 2016. Dichiara dovuti i contributi previdenziali in quanto la fattispecie in esame non viene ritenuta “esercizio diretto di attività sportiva dilettantistica”. Pertanto, argomentando a contrariis, se, invece, lo fosse stato, il giudizio sarebbe stato diverso.
Pertanto, il tema oggi non sembra più essere, anche per la Corte di Cassazione, se sia possibile riconoscere i compensi di cui all’articolo 67, comma 1, lett. m), Tuir ai soggetti che “lavorano” nell’ambito delle attività sportive dilettantistiche ma “quando” dette prestazioni possano considerarsi tali.
Va detto che tutta questa disciplina è oggetto di delega legislativa contenuta nell’articolo 5 L. 86/2019 che affida al Governo il compito di individuare, con decreto da emanarsi entro agosto 2020, “la figura del lavoratore sportivo …… indipendentemente dalla natura dilettantistica o professionistica dell’attività sportiva svolta e definizione della relativa disciplina in materia assicurativa, previdenziale e fiscale e delle regole di gestione del relativo fondo di previdenza” e pertanto tutte le considerazioni sopra esposte dovranno essere riviste alla luce dei decreti che saranno emanati.
Quando l’attività di fitness può considerarsi attività sportiva?
L’iscrizione al Registro Coni, presupposto per l’ottenimento delle agevolazioni in esame, è subordinato allo svolgimento di effettiva attività federale. I due presupposti, previsti anche nella circolare Inl sopra citata, per il riconoscimento dei compensi sportivi, sono dati, appunto, dall’iscrizione al registro Coni e dallo svolgimento di mansioni di carattere sportivo espressamente previste e disciplinate dalle singole Federazioni sportive nazionali.
Pertanto, in presenza di iscrizione al registro Coni, legittimata dall’effettivo esercizio di attività federale, e dallo svolgimento di mansioni riconosciute dalle Federazioni (nell’ambito di discipline sportive riconosciute dal Coni) nulla osta al riconoscimento dei compensi sportivi.
Se invece, come accade ad esempio nel sito internet della associazione soccombente nel giudizio in esame, l’elenco delle attività svolte ne contiene molte non ricomprese nell’elenco delle discipline sportive riconosciute dal Coni, non può stupire l’esito della decisione assunta dalla Cassazione
Rimane, però, un ulteriore requisito previsto nell’incipit dello stesso articolo 67 Tuir. Le prestazioni non devono costituire redditi di lavoro subordinato (pertanto le prestazioni dello sportivo non potranno essere caratterizzate dalla eterodirezione da parte della direzione della palestra) o di esercizio di arti e professioni (ossia il personal trainer che effettua anche prestazioni per singole persone fisiche estranee all’ordinamento sportivo).
Ne deriva, pertanto, che la disciplina sui compensi sportivi non potrà mai essere definita per linee generali ma dovrà sempre essere “calata” sulle modalità delle attività effettivamente esercitate.