La Cassazione ribadisce la natura di presunzione legale della prova bancaria
di Luciano SorgatoCosì testualmente il giudice di Cassazione ha recentemente statuito che: “Per costante giurisprudenza di questa Corte, in virtù della presunzione stabilita dall’art. 32, D.P.R. n. 600 del 1973, – che, data la fonte legale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 cod. civ. per le presunzioni semplici – sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari del contribuente vanno considerati come elementi positivi di reddito se questo non dimostra che ne ha tenuto conto nella determinazione della base imponibile oppure che sono estranei alla produzione del reddito. Il contribuente ha l’onere di superare la presunzione legale dimostrando in modo analitico l’estraneità di ciascuna delle operazioni a fatti imponibili, il giudice di merito è tenuto ad effettuare una verifica rigorosa in ordine all’efficacia dimostrativa delle prove fornite dallo stesso rispetto ad ogni singola movimentazione, dandone compiutamente conto in motivazione.” (Cassazione n. 18596/2024).
La Corte di Cassazione è ferma nel configurare la prova bancaria alla stregua di una presunzione legale relativa, con il diritto alla prova contraria esperibile dal contribuente, ma solo con il ricorso a fonti informative molto rigorose, sul piano della trasparenza sia soggettiva che oggettiva delle singole operazioni di conto. Il supporto giustificativo deve, quindi, raccordarsi su base analitica e non per masse. Nonostante il fermo paradigma di presunzione legale dell’indagine finanziaria, la Corte di cassazione non ha mai dissipato i dubbi in ordine sia alla ricostruzione storica di tale prerogativa presuntiva e sia in ordine alla stessa lettera legislativa impiegata nelle norme di riferimento.
A tale proposito, la riflessione da svolgere sul punto è, in primis, proprio di carattere storico. Le indagini bancarie sono state introdotte nel nostro ordinamento dal D.P.R. 643/1982 e potevano essere svolte, in origine, nei soli casi in cui era ammessa la deroga al segreto bancario (articolo 35 D.P.R. 600/1973 e articolo 51-bis D.P.R. 633/1972, nella versione letterale antecedente la loro abrogazione avvenuta con L. 413/1991), in raccordo, quindi, con specifiche ipotesi di comprovate infrazioni che consentivano agli Uffici di disporre di una preliminare dote indiziaria di gravi elementi, idonea a connotare, come ragionevole, una condotta di rilevante evasione (tale precisa e grave dote indiziaria costituiva, peraltro, l’imprescindibile presupposto per il rilascio dell’autorizzazione ad intraprendere la specifica istruttoria da parte dell’allora Presidente della Commissione Tributaria di primo grado).
La verifica bancaria, quindi, poggiava i suoi fondamenti di legalità su dinamiche istruttorie perentoriamente indicate dal legislatore, definite, peraltro, con una precisa sequenzialità di coordinate, che rendevano evidente come il meccanismo presuntivo alla base della prova bancaria, fosse solo quello di rafforzamento del valore indiziario di prove già raccolte. Non si trattava, quindi, di un’intersezione di presunzioni già dotata di piena autosufficenza , ma solo di prova di cd “secondo livello”, cioè di corroborazione indiziaria delle prove già acquisite e sottoposte allo scritinio del Presidente della Commissione Tributaria di primo grado, in ordine alla loro prospettiva di efficace tenuta processuale. Tale procedimento autorizzatorio è stato successivamente sostituito, con l’abrogazione del segreto bancario avvenuta con la L. 413/1991, con un’autorizzazione amministrativa (che la dottrina ha conformato a semplice onere di informativa), che ha comportato lo svincolo dello specifico strumento di accertamento dal preliminare impulso di verifica giudiziaria, e sostanzialmente liberalizzata la verifica bancaria.
Tuttavia, il quadro normativo, come venutosi a mutare nel tempo, non ha però interagito con il valore indiziario della prova bancaria, nel senso che con la citata L. 413/1991, il legislatore ha solo provveduto ad affrancarne l’impulso istruttorio da certi condizionamenti procedurali ed autorizzatori, ma nulla ha innovato in ordine al suo valore indiziario, volturandolo, con chiarezza di intenti normativi, da prova di secondo livello a diretta prova autosufficiente.
Sul piano letterale, la dottrina accademica (A. Marcheselli, “Accertamenti tributari e difesa del contribuente. Poteri e diritti nelle procedure fiscali”, Milano 2010 Giuffrè Ed.) ha sottolineato come nella prova bancaria sia il fatto noto, che il fatto presunto, sono estremamente vaghi; anzi, il fatto indotto non viene proprio legislativamente configurato. Per l’Autore citato (testualmente): “Il primo (il fatto noto) sarebbe racchiuso nella formula “dati ed elementi” ricavati dalle indagini; il secondo invece manca del tutto in quanto non è per niente indicato, e il legislatore si è solo premurato che essi “siano posti a base” delle rettifiche e degli accertamenti.”. Anche volendo, quindi, ritenere che il fatto noto rispetti il principio di legalità e precisione, necessario affinché si abbia una presunzione legale, non è invece sostenibile che tale meccanismo inferenziale stia prospettando una connessione con un punto d’arrivo (il fatto presunto), dal momento che i dati ed elementi vengono legislativamente raccordati, solo con le ordinarie metodologie di accertamento e non con precisi componenti di reddito da ritenere, sulla sola base di automatismi legali, evasi al Fisco.
In altri termini, ed in piena rispondenza con le critiche dottrinali sopra esposte, se l’ineludibile paradigma di una presunzione si fonda sulla coesione di un rapporto inferenziale tra un fatto noto ed un fatto indotto, allora un sintagma di legge che connette “dati ed elementi” alla “base di una verifica”, manca del tutto della rivelazione del fatto indotto. Infatti, la locuzione “alla base”, già in senso letterale (proprio come desumibile da qualsiasi vocabolario della lingua italiana) si raccorda con la parte inferiore di una qualsiasi struttura, sia essa di tipo materiale e sia essa di costruzione concettuale, per cui un testo legislativo così impostato risulta persino mancante degli ineludibili elementi per la configurazione della presunzione nel suo paradigma generale (e non solo di quello più qualificato della presunzione legale).
Nel testo di legge di riferimento (articolo 32, comma 2, n°2, D.P.R. 600/1973) viene ripetuto: “I singoli dati ed elementi risultanti dai conti sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41”. Tale inciso, proprio in base alla sua specifica dinamica letterale, riesce ad assumere solo il significato di un volano indiziario dell’azione di verifica e non la risultanza oggettiva finale dell’accertamento. “Porre a base di una certa metodologia accertativa”, assume il solo significato semantico di fonte d’innesco della verifica, nel senso che essa può poggiare sull’impulso indiziario di una definita variabile (il silenzio causale delle operazioni bancarie), con un valore di prova però, che, sempre sul piano letterale, rimane sprovvisto di autosufficienza. Ad altro epilogo esegetico, si sarebbe pervenuti se la scrittura legislativa fosse stata del tipo: “I singoli dati ed elementi risultanti dai conti costituiscono la prova degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 se il contribuente non dimostra...”. In tal caso, sarebbe risultato inequivocabile il significato probatorio delle omissioni causali in ordine ai movimenti di conto.
Va anche sottolineato come dalla chiara mancanza di un autonomo metodo di accertamento rinvenibile nella verifica bancaria, la quale non risulta affatto legislativamente affrancata dalle specifiche dinamiche presuntive come legislativamente pensate a governo delle ordinarie istruttorie di cui agli articoli 38, 39, 40, 41, deriva la necessità che essa si coordini proprio con le loro specifiche prerogative indiziarie di presunzione semplice o legale. Trascurare l’evidenza di tale relazione (resa palese proprio dalla lettera di legge “alla base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41”.), priverebbe di ogni valore interattivo la verifica bancaria con le norme richiamate, in manifesto spregio del primo criterio esegetico, enunciato all’articolo 12 delle preleggi al codice civile.
La precisa connessione legislativa con le ordinarie metodologie accertative, obbliga, quindi, ad omogeneizzare la connotazione indiziaria della prova bancaria, con la fisiologica portata indiziaria dei tipi di presunzioni endogene alle norme richiamate, per cui la prova bancaria usata nel contesto istruttorio dell’articolo 39, D.P.R. 600/1973 (che disciplina l’accertamento delle imprese e degli esercenti arti e professioni con obbligo di tenuta delle scritture contabili), venendo essa legislativamente rappresentata come semplice, interdice alla prova bancaria di qualificarsi in maniera diversa, costituendo la sua rivelazione la base della verifica e non la sua conclusiva risultanza oggettiva, con un solo diritto di prova contraria da parte del contribuente.
Ma è sul piano del costituzionale diritto di difesa del contribuente, che la Cassazione raccorda con rigore su base analitica (in ordine ad ogni singola movimentazione di conto) e non per masse, che la natura di presunzione legale della prova bancaria evidenzia tutta la sua insidia e, per chi scrive, manifesta antigiuridicità.
La Corte di cassazione che, con sentenze ormai sempre più stringate, insiste sulla natura di presunzione legale della prova bancaria, solo resistibile con un dettaglio analitico di riferimenti soggettivi e oggettivi e mai per masse, si tiene costantemente distante dallo spiegare come può partecipare delle caratteristiche memoniche della condizione umana, conferire trasparenza a distanza di anni ad un complessivo incasso di 3.000 euro, speso per 700 euro in acquisti d’impresa e per 400 euro in spese personali e successivamente versato in banca per 1.900 euro. Non l’ha mai spiegato, semplicemente perché non si rende spiegabile in natura, ma ciò che è contra natura è persino l’antitesi del diritto sulla prova e non solo della presunzione legale.
Il paradigma della presunzione legale della prova bancaria nell’intendimento del giudice di Cassazione costituisce ormai diritto vivente, ma si continua a ritenere che le due questioni storica e letterale sopra rappresentate meriterebbero di essere affrontate e non eluse dal giudice di nomofilachia.