La Cassazione ribadisce la natura di presunzione semplice degli studi di settore
di Luigi Ferrajoli
La Corte di Cassazione affronta ancora una volta la questione della natura dei parametri utilizzati ai fini della determinazione presuntiva dei ricavi, dei compensi e del volume d’affari.
La vicenda, decisa con la sentenza n.14066 del 20/6/2014, trae origine da un avviso di accertamento mediante il quale l’Agenzia delle entrate aveva accertato in capo ad un professionista un maggior reddito imponibile in applicazione dei parametri 1996.
Il contribuente si opponeva all’accertamento presentando ricorso alla competente CTP, deducendo di aver fornito nell’annualità accertata un’unica consulenza per l’istallazione di un impianto elettrico e di aver, a tal fine, appositamente richiesto l’apertura di una partita IVA, chiusa immediatamente alla cessazione della suddetta collaborazione, non avendo più ragione d’essere.
La CTP di Frosinone accoglieva le doglianze del contribuente ma l’Agenzia proponeva appello, a sua volta rigettato dalla CTR del Lazio.
A parere della CTR l’accertamento doveva considerarsi illegittimo in quanto l’Ufficio aveva emesso l’avviso senza prendere in considerazione l’unicità dell’attività svolta, violando quindi il principio costituzionale della capacità contributiva.
L’Agenzia portava la questione dinanzi alla Cassazione affidandosi a tre motivi, due dei quali vengono dichiarati inammissibili.
Secondo l’Ufficio la CTR aveva pronunciato ultra petita nel dichiarare la nullità dell’accertamento per carenza di motivazione, in quanto, a suo parere, tale aspetto non aveva costituito oggetto del ricorso introduttivo del contribuente che aveva solo contestato l’applicabilità dei parametri.
La Corte nel pronunciarsi manifesta diverso avviso, alla luce dei precedenti orientamenti che hanno chiarito il rilievo che assume la motivazione nell’ambito della procedura di accertamento standardizzato mediante applicazione dei parametri o degli studi di settore.
In tale contesto, vengono richiamati gli approdi interpretativi già espressi dalle Sezioni Unite (sentenza n. 26635/2009) secondo i quali la procedura in oggetto è un mero strumento di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività il cui valore non è predeterminato dalla legge, ma necessità di essere integrato e riscontrato mediante contradditorio con il contribuente, costituendo quindi una presunzione semplice.
Secondo la Corte in sede di contraddittorio il contribuente ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards o la specifica realtà dell’attività. La motivazione dell’atto, per conseguenza, non può esaurirsi nel rilievo del mero scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto del parametro prescelto e con le ragioni per le quali le contestazioni sollevate dal contribuente sono state disattese, giacché solo in questo modo può emergere la gravità, precisione e concordanza attribuite alla presunzione basata sui suddetti parametri e la giustificabilità di un onere della prova contraria a carico del contribuente (conforme Cassazione sentenza n. 27822/2013).
Il giudice inoltre non è vincolato dall’esito del contraddittorio, ma può valutare liberamente sia l’applicabilità degli standars al caso concreto, sia la controprova offerta dal contribuente. L’accertamento motivato sulla base degli standards adottati dall’Amministrazione è giustificato solo nel caso in cui il contribuente sia rimasto inerte in sede di contraddittorio con l’Ufficio ed il giudice può, nel quadro probatorio, valutare la mancata risposta all’invito.
Nel caso in esame la Cassazione ritiene che la CTR aveva correttamente valutato la complessiva corrispondenza dell’atto impugnato al modello accertativo legale, dichiarandone l’illegittimità a seguito del riscontro della mancanza di motivazione in ordine al contraddittorio che il contribuente aveva regolarmente accettato con l’Amministrazione, rappresentando in quella sede le sue ragioni.
Il principio affermato dalla Corte in esito al giudizio è espresso nella seguente massima: “La procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore rappresenta un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sé considerati, nascendo invero solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente con il contribuente, pena la nullità dell’accertamento”.