La Cassazione ribadisce l’illegittimità dell’accertamento anticipato
di Luigi FerrajoliLa Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, è tornata nuovamente a pronunciarsi in tema di avvisi di accertamento “anticipati” con la sentenza n. 25692 del 14.12.2016.
Nel caso in esame, attraverso l’applicazione degli studi di settore, l’Agenzia delle Entrate, con tre distinti avvisi di accertamento, aveva rettificato i redditi di impresa dei soci di una società.
A seguito di accoglimento del ricorso proposto dai contribuenti e dell’impugnazione coltivata dall’Ufficio, la Commissione Tributaria Regionale confermava la sentenza di prime cure affermando che:
- gli studi di settore sono fonte di una presunzione semplice;
- l’Ufficio non aveva fornito idonee allegazioni, anche presuntive, gravi, precise e concordanti in grado di avvalorare gli studi di settore applicati;
- in particolare, l’Amministrazione finanziaria non aveva “dato conto nella fattispecie trattata di elementi idonei alla configurazione di un maggiore reddito in capo al contribuente”;
- gli avvisi di accertamento, inoltre, erano “stati notificati prima del termine di cui alla n. 212 del 2000, articolo 12, comma 7”, senza che l’Amministrazione avesse giustificato la particolare e motivata urgenza che potesse legittimare la notifica ante tempus.
L’Agenzia proponeva dunque ricorso avanti la Suprema Corte, che tuttavia respingeva l’impugnazione esaminando preliminarmente, “in ragione della sua pregiudizialità logica”, il motivo di ricorso afferente proprio la questione relativa alla notifica degli atti prima del termine previsto dall’articolo 12, comma 7, L. 212/2000.
Sul punto, l’Agenzia aveva argomentato, nel proprio ricorso, che la norma richiamata non poteva ritenersi applicabile al caso di specie in quanto “nella fase del contraddittorio la società ha potuto difendersi in maniera esaustiva, per cui non risultano in alcun modo violati i diritti del contribuente”.
La Suprema Corte, a tale proposito, ha viceversa ritenuto che la fattispecie ricadesse pacificamente proprio nell’ambito del dettato di cui alla citata disposizione di legge, osservando che vi era stato accesso dei verificatori presso i locali della società al fine di acquisire gli elementi rilevanti in funzione dell’applicazione degli studi di settore e che era stato redatto e notificato alla parte il processo verbale di constatazione. Ebbene, ai sensi dell’articolo 12, comma 7, “nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”.
Al riguardo, il Giudice di legittimità, nel richiamare la pronuncia a Sezioni Unite n. 18184/2013, ha considerato che bene aveva fatto la CTR a dichiarare la nullità degli atti impositivi, perché nel caso in cui gli stessi siano notificati, a seguito di accesso, prima del decorso del termine dilatorio, “l’inosservanza di detto termine determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus”.
La circostanza, richiamata dall’Ufficio a propria difesa, che nell’ipotesi di cui si discute fosse stato attivato il contraddittorio in seguito alla proposta di accertamento inoltrata al contribuente dall’Ufficio a seguito dell’applicazione degli studi di settore non è stato ritenuto sufficiente da parte della Corte di Cassazione a legittimare il comportamento dell’Agenzia delle Entrate.
La Cassazione ha, infatti, rilevato che è vero che precedente giurisprudenza di legittimità si era orientata nel senso avanzato dall’Ufficio, ma in ipotesi in cui non vi era stato alcun accesso.
L’osservanza del termine è dunque, per la Suprema Corte, “adempimento ineludibile essendo primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed essendo diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva”.
Nel caso in cui si dovesse reputare condivisibile il diverso ragionare che legittima l’elusione del termine in caso di contraddittorio finalizzato all’accertamento standardizzato, si verificherebbe una inammissibile “commistione di normative aventi ambiti applicativi del tutto distinti”.
Per tali motivi, il Giudice di legittimità ha respinto il ricorso proposto dall’Ufficio.
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