La Cassazione si esprime ancora sull’abuso del diritto
di Luigi FerrajoliL’abuso del diritto è ad oggi uno dei temi più dibattuti in dottrina, giurisprudenza e tra gli operatori del settore, date anche le recenti novità legislative sul tema.
Com’è noto, infatti, con il D.L. n. 128/15 è stato introdotto nella L. n.212/00 l’articolo 10-bis, rubricato “Disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale”, con cui per la prima volta è stata disciplinata la fattispecie dell’abuso del dritto, ora configurabile nelle “… operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti”.
Altra importante novità è la ripartizione dell’onere probatorio tra Amministrazione finanziaria e contribuente che è disciplinata al comma 9 dell’articolo 10-bis: “L’amministrazione finanziaria ha l’onere di dimostrare la sussistenza della condotta abusiva, non rilevabile d’ufficio, in relazione agli elementi di cui ai commi 1 e 2. Il contribuente ha l’onere di dimostrare l’esistenza delle ragioni extrafiscali di cui al comma 3”.
Nel riformare l’istituto in esame il legislatore ha recepito le esigenze di maggiore certezza nei rapporti giuridici e tutela del contribuente già segnalate in diverse occasioni dalla giurisprudenza di merito e di legittimità.
Anche la Cassazione, sebbene non in modo costante, ha in molte pronunce limitato il potere dell’Amministrazione finanziaria di configurare l’abuso del diritto in fattispecie nelle quali non era risultato provato che il risparmio fiscale era l’unica ragione posta alla base dell’operazione contestata.
La Suprema Corte si è recentemente espressa in questi termini nella sentenza n. 24024 del 25/11/2015, che ha risolto una controversia nella quale l’Amministrazione finanziaria aveva emesso una serie di avvisi di accertamento originati dall’arresto di un notaio svizzero, nel cui computer erano stati rinvenuti file relativi anche alla società contribuente in ordine alla sottoscrizione di contratti di cointeressenza e partecipazione, predisposti al supposto fine di contabilizzare formalmente costi per la riduzione degli utili da sottoporre a tassazione.
La società contribuente è risultata soccombente in primo e secondo grado; in particolare la sentenza di appello riportava la seguente motivazione: “non si capisce la logica economica, commerciale o di mercato che avrebbe indotto la società appellante a sottoscrivere i contratti di management risk di natura aleatoria che comportavano il pagamento di rilevanti importi ad una società estera a garanzia di rischi di dubbia esigibilità con evidenti margini di indeterminatezza e di controvertibilità tali da rendere assolutamente improbabile qualsiasi azione di recupero in caso si fossero effettivamente registrate le perdite gestionali che s’intendevano assicurare. E’ evidente, pertanto, la natura prettamente elusiva dei contratti sopraindicati e dell’abuso del diritto perpetuato (sic) a prescindere dal fatto che le somme versate siano in realtà rientrate nella disponibilità della società appellante a mezzo di versamenti operati sul conto corrente del suo legale rappresentante dell’epoca“.
La Cassazione ha accolto il ricorso della società contribuente, rilevando come la fattispecie dell’abuso del diritto, che rappresenta un principio generale vigente nell’ordinamento italiano, è configurabile quando l’operazione economica contestata “abbia quale suo elemento predominante ed assorbente lo scopo di eludere il fisco, sicchè il divieto di siffatte operazioni non opera qualora esse possano spiegarsi altrimenti che con il mero intento di conseguire un risparmio di imposta, fermo restando che incombe, sull’Amministrazione finanziaria la prova sia del disegno elusivo che delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale” (sul punto cfr. anche Cass. sent. n.4603/14).
La Cassazione ha rilevato, inoltre, come il legislatore avesse già tentato, con riferimento all’art. 37-bis ed ai tributi diretti, data l’indeterminatezza della nozione di “abuso del diritto” e degli elementi che lo caratterizzano, di limitare il più possibile il margine di valutazione nell’attività di accertamento degli Uffici finanziari ed il conseguente rischio di una indiscriminata applicazione della figura dell’abuso del diritto a qualsiasi fattispecie negoziale.
In conclusione, la Suprema Corte, in applicazione dei principi sopra esposti, ha cassato con rinvio la sentenza di appello che aveva rilevato la sussistenza di un abuso del diritto nel caso in esame, nonostante l’Ufficio non avesse dato prova dell’antieconomicità delle operazioni e del disegno elusivo.