La Cassazione si esprime sul tema del beneficiario effettivo
di Marco BargagliIl treaty shopping rappresenta un’insidiosa forma di abuso transnazionale attuata attraverso l’indebito utilizzo delle convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni sul reddito.
Lo strumento di contrasto a tale fenomeno è contenuto nei trattati medesimi ed è costituito dalla cosiddetta clausola del beneficiario effettivo (c.d. beneficial owner). L’assenza di una sua univoca definizione, tuttavia, ha spesso creato incertezze applicative e conseguenti aspri contenziosi tra Amministrazione finanziaria e contribuente.
Sulla scorta di un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale espresso, prima della Cassazione, da parte del giudice di merito, per provare la qualifica di beneficiario effettivo ed ottenere, conseguentemente, l’esenzione dalle ritenute transfrontaliere sui flussi outbound di dividendi, royalties ed interessi, è sufficiente produrre la certificazione di residenza nello Stato comunitario.
Recentemente, in sede di legittimità, con la sentenza della Corte di Cassazione n. 27113 del 28 dicembre 2016, il giudice tributario ha sancito che l’interpretazione della nozione convenzionale di beneficiario effettivo dei dividendi percepiti deve tenere conto della reale natura e delle funzioni svolte dalle holding statiche di partecipazione.
Il caso esaminato dagli ermellini riguardava il pagamento dei dividendi effettuato dalla controllata italiana nei confronti della casa madre francese, usufruendo dei benefici previsti dalla convenzione internazionale contro le doppie imposizioni stipulata tra l’Italia e la Francia. L’Amministrazione finanziaria ha disapplicato i benefici convenzionali, perché la società francese non sarebbe stata l’effettiva beneficiaria dei dividendi in quanto controllata da una società extra-UE (residente negli Stati Uniti).
Inoltre, la casa madre francese avrebbe operato come mera conduit company, ossia come una struttura di puro artificio costituita al solo scopo di beneficiare del trattamento più favorevole, retrocedendo i flussi reddituali alla top holding americana. Di conseguenza, in linea con le disposizioni antiabuso contenute negli accordi internazionali, la società francese non disponeva, giuridicamente ed economicamente, dei dividendi percepiti e, pertanto, il beneficiario effettivo sarebbe stata la parent company statunitense.
In buona sostanza, i giudici tributari di prime cure hanno considerato la società francese una mera “scatola vuota”, priva di sostanza economica, costituita al solo scopo di ottenere indebiti vantaggi fiscali, tenuto conto che la stessa non possedeva alcuna struttura materiale in termini di uomini, mezzi ed attrezzature.
La suprema Cassazione, sconfessando l’orientamento espresso da parte dei giudici di merito, non ha accolto tale ricostruzione in quanto, in caso di holding o sub-holding statiche, la carenza di una struttura materiale, normalmente presente in una società operativa, non appare significativa. Ciò che deve rilevare, secondo i supremi giudici, è “la padronanza ed autonomia della società-madre percipiente sia nell’adozione delle decisioni di governo e indirizzo delle partecipazioni detenute, sia nel trattamento e impiego dei dividendi percepiti (in alternativa alla loro traslazione alla capogruppo sita in un Paese terzo)”.
Per le holding statiche, ciò che rileva è infatti l’attività tipica svolta dalle stesse normalmente riconducibile alle attività di mero indirizzo e direzione unitaria, alla partecipazione alle assemblee delle controllate e alla riscossione dei dividendi. Nel caso della società francese, la qualità di beneficiario effettivo è stata dimostrata dal fatto che la stessa società risulta essere la proprietaria della partecipazione detenuta nella società italiana e quindi la destinataria effettiva dei dividendi regolarmente iscritti in bilancio, aggredibili dai creditori e liberamente da essa utilizzabili.
Sotto il profilo della residenza fiscale, con riferimento al requisito della direzione effettiva (articolo 73, comma 3, del Tuir), secondo i supremi giudici non si può parlare di fittizietà della sede francese in quanto la stessa società ha sede legale e amministrativa in Francia, è assoggettata a imposizione in quel paese, gli amministratori persone fisiche risiedono in Francia e nello Stato francese vengono prese le fondamentali decisioni concernenti la società.
In conclusione, ciò che è necessario verificare è il luogo di effettiva adozione delle decisioni e delle direttive amministrative e di coordinamento delle partecipazioni possedute dalla società madre percipiente, secondo l’attività tipica di holding da quest’ultima esercitata.
La pronuncia della Cassazione si inserisce in un ormai consolidato panorama giurisprudenziale che dà sempre maggiore risalto alla sufficienza probatoria del certificato fiscale di residenza fiscale esibito dalla holding estera che percepisce i flussi, nel pieno rispetto del principio comunitario della libertà di stabilimento.
Infatti, anche nelle precedenti sentenze emesse dal giudice di merito, si evince come, per attestare lo status di beneficiario effettivo, sia sufficiente che il reddito percepito da soggetti italiani venga imputato al soggetto percipiente secondo la legge fiscale dello Stato in cui esso risiede e, contestualmente, questi non sia tenuto a trasferire il reddito ad altro soggetto, sulla base di una obbligazione originariamente collegata al reddito ricevuto.
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