La Cassazione torna sulle sponsorizzazioni sportive
di Guido MartinelliMarilisa RogolinoLe somme corrisposte per spese di pubblicità agli enti sportivi dilettantistici sono interamente deducibili nell’esercizio a nulla rilevando l’effettivo ritorno in termini di ricavi da parte dell’impresa erogante, in quanto è la norma stessa, l’articolo 90 della L. 289/2002, nel limite complessivo dei 200.000 euro annui, a prevederne tale qualificazione.
Questa è la tesi che emerge dalla lettura della decisione della Suprema Corte di Cassazione n. 5720 del 23 marzo scorso.
Il caso portato avanti al Giudice di legittimità nasce da una sentenza della Commissione Regionale Tributaria della Campania che accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la decisione della commissione di primo grado, confermando l’avviso di accertamento a carico di una società.
In specie, e per quanto di interesse, si trattava di costi di sponsorizzazione che, non avendo determinato una significativa crescita delle vendite, erano stati classificati come mere spese di pubblicità.
La società proponeva ricorso in Cassazione censurando la sentenza di appello per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione laddove essa, in tema di sponsorizzazione, non specificava le fonti dalle quali il Giudice avrebbe tratto convincimento e per l’incertezza dal punto di vista logico-giuridico del rilievo relativo alla assenza di significativi incrementi di vendite. Denunciava, inoltre, la violazione dell’articolo 90, comma 8, L. 289/2002 per l’omessa ricognizione della fattispecie astratta ivi delineata e per avere errato nel giudizio mediante negazione di detta disposizione che classifica come spese di pubblicità – deducibili ex articolo 108, comma 2, del Tuir -, entro l’importo massimo di euro 200.000, “il corrispettivo in denaro o in natura in favore di società, associazioni sportive dilettantistiche…“. La qualificazione come spese di pubblicità è dovuta ad una presunzione assoluta di inerenza del costo introdotta dalla norma in esame.
Osservava, altresì, che era indubitabile l’inerenza della sponsorizzazione di una società di basket avendo documentato un rapporto percentuale fra costi e fatturato annuo congruo all’attività di impresa.
Il thema decidendum, come correttamente riporta la decisione in commento, “della vertenza attiene, dunque, alle condizioni di deducibilità delle spese di pubblicità quando queste coinvolgono soggetti ritenuti dal legislatore del 2003 meritevoli di peculiare tutela giuridica, ossia le compagini sportive dilettantistiche”.
Costituiscono spese di rappresentanza, proseguiva la Corte riprendendo precedenti interventi giurisprudenziali, quelle affrontate “per iniziative volte ad accrescere il prestigio e l’immagine dell’azienda ed a potenziarne le possibilità di sviluppo; mentre vanno qualificate come spese pubblicitarie o di propaganda quelle erogate per realizzare iniziative tendenti prevalentemente anche se non esclusivamente, alla pubblicizzazione di prodotti, marchi e servizi, o comunque dell’attività svolta”.
Le spese di sponsorizzazione, essendo finalizzate all’ottenimento di un ritorno economico in capo allo sponsor, richiedono l’esistenza di un nesso inferenziale tra l’attività svolta dal soggetto sponsorizzato e la società che eroga le somme; in assenza del descritto nesso inferenziale, la spesa sostenuta non può qualificarsi come spesa di pubblicità, bensì di rappresentanza, e come tali soggette alle limitazioni di deducibilità (Cass. n. 3433/2012).
Per la dottrina l’articolo 90, comma 8, introduce una esimente alla normativa ed alla giurisprudenza richiamata.
Dal canto suo, l’Amministrazione finanziaria, con la circolare n. 21/E/2003, ha chiarito che la disposizione di cui all’articolo 90, comma 8, introduce una presunzione assoluta circa la natura delle spese erogate in favore di società e associazioni sportive dilettantistiche, secondo cui entro il limite di 200.000 euro sono considerate di pubblicità (sul punto vedi anche la risoluzione n. 57/E/2010).
In sintesi, conclude la Suprema Corte: “è proprio il comma 8 dell’articolo 90 a qualificare ex lege tali spese come pubblicitarie, se a) il soggetto sponsorizzato sia una compagine sportiva dilettantistica, b) sia rispettato il limite quantitativo di spesa, c) la sponsorizzazione miri a promuovere l’immagine ed i prodotti dello stesso sponsor, d) il soggetto sponsorizzato abbia effettivamente posto in essere una specifica attività promozionale (es. apposizione del marchio sulle divise, esibizione di striscioni e/o tabelloni sul campo di gioco, ecc.)”.
Nel caso in esame, tra la società ricorrente e la squadra militante nel campionato di basket, erano intercorsi accordi in forza dei quali la società corrispondeva l’importo nei limiti di legge a fronte dell’impegno da parte del beneficiario di apporre il logo della società sulle divise, sulle locandine pubblicitarie e sulla cartellonistica del campo. Pertanto la Corte ha confermata la natura pubblicitaria di tali spese.