La cessione dello studio professionale: Paesi a confronto
di Goffredo Giordano di MpO PartnersPremessa
In precedenti contributi abbiamo avuto già modo di chiarire che in Italia le operazioni M&A di studi professionali (da un punto di vista fiscale) sono fortemente penalizzate rispetto alle operazioni M&A aziendali. Alla luce dell’attuale evoluzione del mondo professionale molti professionisti sarebbero già pronti ad organizzarsi secondo modelli più strutturati, passando dalla “classica” e predominante ditta individuale a organismi molto più complessi.
Ma il tutto è fortemente ostacolato soprattutto dalla normativa fiscale che, di fatto, frena il naturale passaggio generazionale degli studi professionali.
Scopo di questo primo approfondimento (seguiranno altri confronti) è quello di analizzare il trattamento fiscale (anche in ottica successoria per “mortis causa”) delle operazioni di cessione di studi professionali in altri Paesi anche al fine di poter prenderne spunto per possibili applicazioni in Italia.
Per quanto concerne l’Italia si evidenzia che:
- La cessione della clientela di uno studio professionale. I corrispettivi percepiti a seguito dell’operazione di trasferimento a titolo oneroso di uno studio professionale rientrano tra quelli previsti dall’articolo 54, comma 1-quater del TUIR il quale prevede espressamente che “Concorrono a formare il reddito i corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela o di elementi immateriali comunque riferibili all’attività artistica o professionale”. Di conseguenza, secondo la normativa tributaria italiana ad oggi vigente, la cessione del «pacchetto clienti» genera interamente reddito professionale da assoggettare a tassazione ordinaria ai sensi dell’articolo 54 del TUIR (vi è l’opportunità di optare per la tassazione separata nella remotissima/impossibile ipotesi dell’incasso del corrispettivo in unica soluzione).
- Il conferimento di uno studio associato (ma anche di uno studio professionale organizzato sotto forma di ditta individuale) in Società tra Professionisti. Tale operazione (in osservazione alle indicazioni dell’Agenzia delle Entrate con la risposta all’istanza di interpello n. 125/2018) non può beneficiare del regime di neutralità fiscale di cui all’articolo 176 TUIR. Per l’Amministrazione Finanziaria tale operazione è equiparabile ad una cessione di beni e, di conseguenza, deve ritenersi soggetta alle disposizioni contenute nell’articolo 9 e 54 del TUIR.
- La trasformazione dell’associazione professionale (ma anche di uno studio individuale) in Società tra Professionisti. In questo caso l’Amministrazione Finanziaria (cfr. risposta all’istanza di interpello n. 107/2018) ha escluso la neutralità fiscale della trasformazione di una associazione professionale in STP in quanto non può trovare applicazione il regime di neutralità fiscale contenuto nell’articolo 170 del TUIR. L’indicazione dell’Agenzia delle Entrate fonda le basi sul fatto che tale operazione deve essere considerata come una trasformazione eterogenea e non omogena (associazione professionale e STP hanno un regime fiscale diverso. Si passa da reddito di lavoro autonomo a reddito d’impresa). Anche in questo caso per l’Amministrazione Finanziaria tale operazione è equiparabile ad una cessione di beni e, di conseguenza, deve ritenersi soggetta alle disposizioni dell’articolo 9 e 54 del TUIR.
Alla luce di quanto sopra esposto appare evidente che in Italia la pressione fiscale frena, se non addirittura arresta, le operazioni M&A di studi professionali che andrebbero agevolate mediante una legislazione civilistico e soprattutto fiscale che le renda appetibili così come avviene per il passaggio generazionale (e le riorganizzazioni) riguardanti le imprese.
Ma cosa succede in caso di decesso del professionista?
In caso di decesso di un professionista l’attività dello stesso cessa essendo un’attività autonoma basata sulla prestazione intellettuale del “de cuius”. Gli eredi del professionista subentrano solo ed esclusivamente nei diritti ed obblighi del professionista deceduto.
Pertanto, hanno diritto ad incassare i compensi a lui spettanti e il dovere di pagare le relative spese/costi.
Su tale argomento si è espressa anche l’agenzia delle Entrate con la Risoluzione n. 34/E dell’11 marzo 2019 con la quale ha chiarito che “In presenza di fatture da incassare o prestazioni da fatturare, gli eredi non possono chiudere la partita IVA del professionista defunto sino a quando non viene incassata l’ultima parcella e devono adempiere a tutti gli obblighi Iva
Ne consegue che “in presenza di fatture da incassare o prestazioni da fatturare, gli eredi non possono chiudere la partita IVA del professionista defunto sino a quando non viene incassata l’ultima parcella. Per quanto sopra si ritiene che la soluzione prospettata dall’istante sia condivisibile e, quindi, che al verificarsi delle condizioni dal medesimo indicate (fatture ad esigibilità differita da incassare oppure fatture da emettere) sia ammissibile una deroga a quanto stabilito dall’articolo 35-bis del d.P.R. n. 633 del 5 1972 che dispone la chiusura della partita IVA del contribuente deceduto da parte degli eredi entro sei mesi dalla data della sua morte.”
Ma cosa accade in altri Paesi? Vediamone alcuni. Europei e non europei.
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