La circolazione del credito tributario
di Carla GrandeDavide De GiorgiLa Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12552, del 7 giugno 2016, chiarisce il perimetro applicativo del divieto ex articolo 43-bis, D.P.R. n. 602 del 1972, che vieta al cessionario di un credito tributario di effettuare una nuova cessione.
In estrema sintesi, i Giudici del “Palazzaccio” facendo proprie le conclusioni delle Corti “minori” hanno ritenuto non applicabile il divieto di doppia alienazione del credito tributario al caso in cui la successiva cessione costituisca il mero effetto della cessione di azienda, limitando l’applicazione della norma alla fattispecie di negozio di cessione del credito tributario, o meglio di negozio il cui oggetto (o il cui effetto) tipico sia proprio il trasferimento del credito.
Dal punto di vista ermeneutico gli “Ermellini” non condividono l’interpretazione letterale della norma data dall’Agenzia delle Entrate, che sostanzialmente, porta a concludere che il divieto di circolazione del credito tributario vige sic et simpliciter e deve essere applicato a qualsiasi successiva cessione. Tale assunto viene giustificato da parte dell’Agenzia anche sulla base della ratio ispiratrice della norma, che è quella di salvaguardare l’Amministrazione da una circolazione eccessiva dei crediti tributari, e che in tal guisa, indurrebbe incertezza sul creditore “finale” del Fisco.
In punto di diritto è stato osservato dalla Corte di Cassazioni come il divieto alla circolazione del crediti tributari sia innanzitutto una eccezione al principio della libera cedibilità dei crediti, e come tale, deve essere interpretata in maniera restrittiva.
Pertanto, viene ribadito che, la norma vieta la mera doppia cessione del credito, non già di compiere atti che hanno tra i loro effetti anche il trasferimento di uno o più crediti inerenti l’azienda ceduta.
Utilizzando le parole della Corte di Cassazione “Il trasferimento del credito può costituire l’effetto “tipico” di un atto, il negozio di cessione del credito, che ha come scopo quel trasferimento; ma può anche essere l’effetto di atti diversi dal negozio tipico di cessione del credito, come, ad esempio, la cessione di azienda, perfezionatasi la quale, l’articolo 2559 c.c. prevede il trasferimento dei crediti inerenti. Ossia, altro è la cessione del credito quale atto, altro il trasferimento del credito quale mero effetto. Mentre funzione tipica del negozio di cessione del credito è il trasferimento della situazione attiva, negli altri casi il trasferimento non fa parte della funzione tipica dell’atto (la cessione dell’azienda, per esempio), ma ne è, piuttosto, un effetto ulteriore o connesso. Vista la vicenda da un diverso punto di vista, si può dire che nell’atto di cessione il trasferimento del credito è lo scopo principale delle parti, mentre negli altri casi, e segnatamente ad esempio, nella cessione di azienda, lo scopo principale è un altro, ed il trasferimento del credito si pone solo come effetto ulteriore o conseguente”.
La pronuncia de qua mette in evidenza la diversità tra le due ipotesi (trasferimento del credito quale effetto tipico del negozio di cessione, e trasferimento del credito quale effetto ulteriore di atti aventi diversi scopi) anche sotto il profilo tributario.
Da questa latitudine la ricostruzione giuridica del Supremo Consesso si sofferma sugli effetti tributari della circolazione del credito nelle due suddette ipotesi. Viene chiarito come, nel caso in cui il credito è trasferito per via della cessione non v’è alcuna continuità fiscale tra cedente e cessionario, che rimangono due soggetti fiscalmente diversi, mentre non può trarsi analoga conclusione nel caso di cessione di azienda, nel quale invece v’è continuità fiscale tra cedente e cessionario, per effetto proprio della contemporanea cessione dei crediti insieme all’azienda.
Alla luce del chiarimento espresso in sede giurisprudenziale, è possibile concludere che l’articolo 43-bis, D.P.R. n. 602 del 1972, che letteralmente vieta al cessionario di un credito fiscale di effettuare una nuova cessione del credito, deve essere interpretato in maniera restrittiva, in quanto, se da un lato vieta al cessionario di cedere a sua volta il credito tributario, non impedisce tuttavia l’effetto di trasferimento del credito che sia connesso a negozi aventi scopi diversi dalla mera cessione.
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12 Settembre 2016 a 9:45
Ma la riduzione per spese di manutenzione ordinaria non è limitata al solo 5% (e non 15% con indicato)?
Grazie e saluti.
12 Settembre 2016 a 12:00
Buongiorno, ma è immobile patrimonio anche l’immobile abitativo detenuto dalla società che svolge solo attività di locazione e quindi non è estraneo alla sua principale attività, e lo loca senza aver intenzione di venderlo? O la classificazione di immobile patrimonio prescinde dall’attività effettivamente svolta? Grazie