La città dei Papi e non solo
di Chicco Rossi
Prima di tutto buon anno a tutti i lettori e in particolare al rag. Monti che ha vinto la bottiglia della cantina di Chicco Rossi, optando per un rosso fermo.
E proprio in una terra che produce un vino con tali caratteristiche andiamo oggi: la Ciociaria, terra di Papi, degli avi di Giulio Andreotti politico che, a prescindere dai colori politici, forse rimpiangiamo se rapportato agli attuali (leggasi un ex sindaco di un paese di quelle terre: Fiorito Franco) e di una svolta politica che ha cambiato il corso della destra italiana.
Il nostro viaggio parte da Anagni, meglio nota come la città dei Papi, per aver dato i natali a ben 4 pontefici (Innocenzo III, Alessandro IV, Gregorio IX e quel Bonifacio VIII del noto schiaffo di dantesca memoria: “ Perché men paia il mal futuro e ‘l fatto, veggio in Alagna intrar lo fiordaliso, e nel vicario suo Cristo esser catto. Veggiolo un’altra volta esser deriso; veggio rinovellar l’aceto e ‘l fiele, e tra vivi ladroni esser anciso. ») e per essere stata residenza pontificia.
Lo schiaffo, che in realtà è stato solamente morale e no fisico, rappresenta l’apice del dissidio tra il pontefice ed Filippo il Bello, per definire la supremazia del potere spirituale su quello temporale, come auspicato dal papa. A seguito della morte di Binifacio VIII la sede papale fu trasferita ad Avignone (futura tappa culinaria di Chicco Rossi, ma spettiamo la primavera inoltrata così possiamo anche andare a divertirci nella mondana Saint Tropez).
Per arrivare al palazzo papale e alla splendida cattedrale dei primi del Mille si percorre una strada stretta fiancheggiata da palazzi medievali tra i quali vale sicuramente la pena di visitare la casa Barnekow, la sala della Ragione all’interno del palazzo comunale (palazzo che prende il nome dall’architetto Jacopo da Iseo che lo progettò), palazzo Lauri, palazzo Traietto. Si arriva nella piazza della cattedrale, da cui si può ammirare una veduta della vallata sottostante e tramite una scala si giunge fino all’entrata della cattedrale davanti alla quale si erge il campanile. All’interno il duomo ospita la splendida cripta i cui affreschi costituiscono uno dei più interessanti cicli pittorici del Duecento italiano ma soprattutto per il pavimento cosmatesco (è opinione comune che esso sia un’opera firmata dal marmoraro romano Cosma, coadiuvato dai figli Luca e Jacopo).
Per un rapido spuntino ci si può fermare in una delle tante pizzerie al taglio, infatti, Anagni non offre un’ampia offerta ristorativa ma, per i gourmant è sempre possibile impostare il navigatore destinazione Acuto, piccolo paesino che si erge su di una collina appartenente ai monti Ernici alta circa 700 metri e il cui nome si deve proprio alla forma dell’altura. Per arrivare bisogna prendere la strada che porta a Fiuggi, centro conosciuto per le acque curative e non solo. È lì che ci fù la svolta politica della destra con l’abbandono del Movimento sociale di almirantiana memoria.
Ma noi come detto, stiamo andando ad Acuto per entrare nel mondo di Salvatore Tassa, il patron de “Le colline ciociare” confermatosi anche per il 2014 miglior cuciniere del Lazio secondo la guida del Gambero Rosso.
Con sapienza entrerete in un mondo fatto di sapori genuini dove la regina è la cipolla fondente, vecchio must sin dal 2004 di Tassa.
Per gli amanti della buona cucina che, tuttavia, hanno deciso di adottare la spending review, sempre ad Acuto si può andare a trovare Magno (incredibile la sua somiglianza con il grande, in tutti i sensi, Antonino Cannavacciuolo di cui però in questo caso non c’è bisogno) che ci accoglierà in un vecchio frantoio di rara bellezza con i suoi soffitti a volta che attraggono l’attenzione a tal punto che si sente solamente il crepitare della legna che arde nel camino.
Il ristorante è a gestione familiare e trova quale regina incontrastata della cucina la mamma di Magno che con ricette semplici ma genuine, sono infatti ricette di casa sua, vi saprà catturare.
Non si può andar via senza aver assaggiato delle rigorose fettuccine fatte in casa con un sugo di cinghiale o di lepre di modo da poter sorseggiare amabilmente un buon bicchiere di Cerciole: un cesanese di affile dall’ottimo rapporto qualità-prezzo (prossimamente qualcuno lo potrà apprezzare direttamente).
Infatti, ad accompagnare le libagioni, in Ciociaria non ci può essere che il re dei vini locali: il Cesanese del Piglio che trae il nome dal paese situato a un’altitudine di 620 su una propaggine del monte Scalambra che si raggiunge passando per boschi di castagni.
La nostra scelta cade sul Romanico prodotto dai Conti Coletti di cui abbiamo visto il palazzo nobiliare ad Anagni, vino prodotto in ossequio al disciplinare e quindi con almeno il 90% di cesanese di affile. Affinato per 18 mesi in barriques di rovere, ma nonostante questo anticipiamo come si presentino bilanciate le note vanigliate, si presenta con un colore rubino cupo, profondo. All’olfatto si incontrano frutti a bacca rossa e nera con note di tabacco, liquirizia e spezie, senza dimenticare l’amarena e la ciliegia. Al palato morbido, di buon corpo, armonico. Ovviamente trova il suo connubio perfetto con l’abbacchio alla scottadito accompagnato con un piatto di cicoria impreziosita da una punta di peperoncino. Nell’attesa potete sempre chiedere una variante da spiluccare: delle semplici costolette di agnello impanate e fritte che si sciolgono in bocca al solo guardarle.
Espressione tipica del territorio, il ROMANICO è frutto della sapidità: all’analisi gustativa spiccano sentori di frutta rossa, con netto ricordo di amarena e di ciliegia.
Dalla sua vinificazione si ottiene un vino rosso di gran classe, la cui potenza si coniuga ad eleganza e finezza, caratteristiche esaltate da un equilibrato affinamento in piccoli fusti fabbricati con rovere proveniente dalle migliori foreste del massiccio centrale francese.