La collazione nella cessione di quote societarie e d’azienda
di Luigi FerrajoliTramite la collazione, il legittimario può concorrere pro quota sul valore della donazione ridotta – per effetto dell’azione di riduzione – che ecceda l’ammontare della quota indisponibile.
Più nel dettaglio, la collazione dei beni mobili è prevista dall’articolo 750 cod. civ. e si effettua soltanto per imputazione, sulla base del valore che essi avevano al tempo in cui è stata aperta la successione, in ragione del minor valore che normalmente caratterizza tali beni e la maggiore facilità della loro circolazione.
In giurisprudenza è stato spesso affrontato il tema della collazione con particolare riferimento alla cessione di quote e alla cessione d’azienda, sottolineando l’effettiva differenza tra le due ipotesi, atteso il diverso oggetto del bene alienato che, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, si riflette essenzialmente sul regime della collazione stessa.
Più nel dettaglio, è stato di recente confermato dalla Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 2505/2022 che, per la quota societaria, la collazione è effettuata con riferimento al disposto normativo di cui al citato articolo 750 cod. civ. avente ad oggetto i beni mobili e, quindi, per imputazione poiché, non conferendo ai soci un diritto reale sul patrimonio societario riferibile alla società – che è soggetto distinto dalle persone dei soci – essa attribuisce un diritto personale di partecipazione alla vita societaria (in tal senso, anche Cassazione Civile, sentenza n. 10756/2019). In questo specifico caso, quindi, dovrà procedersi ad imputazione sulla base del valore che la quota ha al tempo di apertura della successione (Cassazione Civile, sentenza n. 20258/2014).
La valutazione della quota sociale deve essere operata ai sensi dell’articolo 2289 cod. civ., tenuto conto del valore dell’avviamento e, secondo una stima di ragionevole prudenza, della futura redditività dell’azienda, considerato che la norma, facendo riferimento allo scioglimento del rapporto nei confronti di un solo socio, presuppone “la continuazione dell’attività sociale che non può riferirsi solo ad un compendio statico e disaggregato di beni, ma deve essere valutata anche avuto riguardo alla sua fisiologica e naturale propensione verso il futuro” (in tal senso, Cassazione Civile, sentenza n. 5449/2015, Cassazione Civile, sentenza n. 7595/1993 e Cassazione Civile, sentenza n. 4210/1992).
A tale proposito occorre rammentare come, anche secondo la giurisprudenza tributaria, se la cessione di quote di partecipazioni sociali non consente all’Amministrazione di prendere in considerazione l’avviamento – che consiste, come noto, nell’attitudine di un complesso aziendale a conseguire risultati economici diversi da quelli raggiungibili attraverso l’utilizzazione isolata dei singoli elementi che lo compongono –, lo stesso debba, tuttavia, essere preso in esame nel caso di sostituzione nell’impresa di un soggetto diverso attraverso il trasferimento dell’intera azienda, o di un suo ramo, ad altra società o ad altro imprenditore individuale, ovvero mediante concentrazione dell’intero capitale nella persona di un unico socio, ipotesi questa che si verifica in caso di cessione delle quote societarie (Cassazione Civile, sentenza n. 25262/2017).
Con riferimento, invece, alla collazione in caso di cessione della quota di azienda – che rappresenta la misura della contitolarità del diritto reale sulla “universitas rerum” dei beni di cui si compone – con la richiamata ordinanza n. 2505/2022 i giudici di legittimità hanno confermato che la medesima deve essere compiuta secondo le modalità indicate dall’articolo 746 cod. civ. in tema di beni immobili. Secondo tale diposizione, la collazione di un bene immobile si effettua con il rendere il bene in natura o con l’imputarne il valore alla propria porzione, a scelta di chi conferisce, sicché, ove si proceda per imputazione, “deve aversi riguardo al valore non delle singole cose, ma a quello assunto dalla detta azienda, quale complesso organizzato, al tempo dell’apertura della successione” (Cassazione Civile, sentenza n. 502/2003).
Nella fattispecie analizzata dalla Suprema Corte, è stato ritenuto corretto, ai fini dell’accertamento del valore di una cessione di quote societarie, fare riferimento al valore dell’azienda rientrante nel patrimonio della società onde risalire a quello delle quote, occorrendo all’uopo stimare le varie componenti del patrimonio societario, tra le quali rivestiva valore determinante l’azienda di farmacia, al cui esercizio la società era deputata.