La comunicazione dei dati dei soci che effettuano finanziamenti all’impresa spetta anche agli enti non commerciali?
di Guido MartinelliMarta Saccaro
Si avvicina la scadenza del 12 dicembre per effettuare la comunicazione all’Anagrafe Tributaria dei dati delle persone fisiche soci o familiari dell’imprenditore che hanno concesso all’impresa, nell’anno 2012, finanziamenti o capitalizzazioni per un importo complessivo, per ciascuna tipologia di apporto, pari o superiore a euro 3.600,00 e anche gli enti non commerciali si interrogano sull’adempimento.
La norma istitutiva dell’obbligo
L’obbligo di trasmettere la comunicazione in argomento è stato istituito, con finalità antielusive, in attuazione del precetto contenuto nell’art. 2, comma 36-septiesdecies, del D.L. 13 agosto 2011, n. 138. In base a questa disposizione, l’Agenzia delle Entrate, oltre a procedere al controllo sistematico della posizione delle persone fisiche che utilizzano i beni concessi in godimento dall’impresa, deve tenere conto, ai fini della ricostruzione sintetica del reddito, anche di qualsiasi forma di finanziamento o capitalizzazione effettuata nei confronti della società. Di fatto poi, il modello di comunicazione è stato “sganciato” dalla segnalazione dei beni concessi in godimento ai soci, che prevede una comunicazione distinta.
Il modello di comunicazione dei finanziamenti è stato approvato con un provvedimento direttoriale del 2 agosto 2013. Purtroppo, insieme al modello non sono state approvate le relative istruzioni e restano, quindi, ancora molti punti dubbi in merito alle modalità di compilazione della comunicazione.
A chi si riferisce l’adempimento?
Di certo è che sono tenuti all’adempimento “i soggetti che svolgono attività di impresa, sia in forma individuale che collettiva”: ciò porta necessariamente ad escludere dall’obbligo tutti quegli enti non commerciali che, svolgendo esclusivamente attività istituzionale, non hanno la partita IVA.
Ragioni di logica sistemica portano poi a ritenere che l’adempimento sia obbligatorio solo nel caso in cui, nell’anno, siano stati effettuati finanziamenti nell’ambito dell’attività di impresa.
Conseguentemente dovrebbero ritenersi esclusi dalla comunicazione gli enti non commerciali in possesso di partita IVA i cui soci hanno effettuato finanziamenti per sostenere l’attività istituzionale.
Considerazioni sugli enti non commerciali
Sarebbero invece tenuti all’onere i soli soci di enti non commerciali che hanno effettuato finanziamenti nell’ambito dell’attività d’impresa. La fattispecie è, di fatto, irrealistica, considerato che gli enti non commerciali svolgono attività commerciale in maniera non prevalente e, comunque, solo per finanziare l’attività principale, di natura istituzionale. L’impresa è, quindi, per gli enti non commerciali non un “fine” ma semplicemente un mezzo per svolgere le attività tipiche. Se quindi l’ente dovesse chiedere un contributo ai propri soci lo farà verosimilmente per finanziare le iniziative istituzionali non certo l’attività commerciale. Se infatti l’attività d’impresa dovesse necessitare di risorse l’ente non commerciale dovrebbe valutare l’idea di chiudere la partita IVA per non consumare risorse da destinare alle finalità istituzionali.
Ancora, le contribuzioni corrisposte dai soci all’ente servono poi, nella maggior parte dei casi a sostenere spese predeterminate e vengono restituite non appena l’ente acquista autonomamente la disponibilità di cassa. Non si tratta di veri e propri finanziamenti, quindi, ma di semplici prestiti che, nella maggior parte dei casi, vengono rapidamente restituiti.
Oltre a ciò, si ricorda che è previsto un limite minimo al finanziamento da segnalare all’Agenzia delle Entrate: al di sotto di 3.600,00 euro all’anno nulla va evidenziato nella comunicazione.
Tenuto conto di questo, è evidente che saranno veramente pochi quegli enti non commerciali che hanno ricevuto nel corso del 2012 un finanziamento dai propri soci a titolo di sostegno all’attività commerciale di importo complessivo superiore a 3.600 euro.
Se questa fattispecie si dovesse verificare, la comunicazione sarebbe dovuta, a prescindere dal regime contabile adottato dall’ente non commerciale per gestire l’attività d’impresa (ordinario, semplificato o forfettario – L. n. 398/1991).
Non sembra invece che possano ritenersi esclusi dall’onere quegli enti che, svolgendo in via principale attività d’impresa, si qualificano fiscalmente come commerciali: in tale circostanza la fattispecie risulta simile a quella prevista per le società ed il comportamento fiscale deve essere quindi equivalente.
Come detto, però, l’Agenzia delle Entrate non ha fornito istruzioni specifiche circa la compilazione del modello di comunicazione, limitandosi a dare sporadiche risposte sul tema generale e non affrontando, nello specifico, le problematiche relative agli enti non commerciali. Si ritiene quindi quanto mai opportuno un chiarimento anche su questi argomenti, auspicando una seria riflessione sulle modalità di esecuzione dell’adempimento da parte della specifica tipologia soggettiva degli enti non commerciali.