La condotta antieconomica giustifica l’accertamento induttivo
di Enrico Ferra
Il comportamento antieconomico del contribuente incassa ancora una censura dalla Corte di Cassazione, questa volta sulla congruità delle percentuali di ricarico applicate da un imprenditore individuale nel settore della vendita di abbigliamento.
I giudici di legittimità, con la sentenza n.1839 del 29 gennaio 2014, hanno ribaltato la decisione – piuttosto frettolosa – della Commissione Tributaria Regionale favorevole al contribuente, che aveva ritenuto illegittimo il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria all’accertamento induttivo in presenza della “riscontrata regolarità della documentazione contabile”.
Il caso in commento è quello di un commerciante di abiti che, a parere dell’Ufficio, aveva applicato un ricarico “assai modesto” alle sue vendite (9,78%) riscontrato dai dati indicati in dichiarazione, denotando di fatto un “chiaro” approccio antieconomico perché irragionevole in relazione al settore di appartenenza.
Inoltre, dal confronto – su circa il 90% della merce – tra i prezzi dei capi esposti in vendita e i relativi costi emergenti dalle fatture di acquisto, l’Ufficio, applicando la media aritmetica semplice, aveva riscontrato una percentuale di ricarico di circa il 40%.
La Commissione Tributaria Regionale, sposando la decisione del giudice di primo grado favorevole al contribuente, ne accoglieva le istanze con argomentazioni – si diceva – piuttosto frettolose.
Il giudice di appello, infatti, pur ravvisando un chiaro indizio di evasione nell’applicazione dei margini modesti da parte del contribuente, rigettava l’appello dell’Amministrazione Finanziaria contestando il ricorso della stessa al metodo di accertamento induttivo a fronte della corretta tenuta della contabilità sul piano formale, senza tuttavia entrare nel merito del ricalcolo effettuato dall’Ufficio.
Al contrario, la Corte di Cassazione ha confermato la bontà dell’operato dell’Ufficio accertatore e ritenuto pienamente legittimo il metodo dell’accertamento induttivo, in presenza di elementi presuntivi non opportunamente giustificati e di sicura rilevanza probatoria “desunti dalla sostanziale antieconomicità del comportamento della titolare della ditta”.
Pertanto, secondo la Corte, la condotta antieconomica è da sola sufficiente a disconoscere quanto dichiarato dal contribuente e la CTR, del tutto “contraddittoriamente”, ha fondato la decisione essenzialmente sulla “regolarità della documentazione contabile”, pur a fronte del chiaro indizio di evasione fiscale.
È difficile ravvedere una contraddizione nell’iter seguito dalla CTR. Tuttavia, in relazione al tipo di accertamento effettuato, pare che la contestazione riguardi specifiche poste contabili e non l’intera dichiarazione del contribuente, circostanza che, come noto, consente di prescindere dalla corretta tenuta della contabilità, diversamente da quanto previsto nel caso dell’accertamento induttivo “puro”.