La contabilizzazione degli incentivi all’esodo
di Viviana GrippoI costi di riduzione del personale quali gli incentivi per favorire l’esodo o la messa in mobilità del personale dipendente e dei lavoratori assimilabili, per rimuovere inefficienze produttive, commerciali o amministrative e simili, non sono capitalizzabili nell’attivo patrimoniale in quanto, oltre a sostanziarsi in una eliminazione di fattori produttivi, vengono sostenuti in contesti della vita della società nei quali l’aleatorietà della loro recuperabilità è talmente elevata da non soddisfare i requisiti per la capitalizzazione.
Questo è quanto emerge dalla lettura dell’OIC 24 nella attuale formulazione ancora in bozza per la consultazione.
La precisazione chiarisce il nodoso interrogativo che più volte ha interessato gli amministratori delle società circa l’esistenza o meno dei requisiti necessari alla capitalizzazione. Si rammenta, difatti, che gli oneri pluriennali possono essere iscritti nell’attivo dello stato patrimoniale solo se:
- è dimostrata la loro utilità futura;
- esiste una correlazione oggettiva con i relativi benefici futuri di cui godrà la società;
- è stimabile con ragionevole certezza la loro recuperabilità. Essendo la recuperabilità caratterizzata da alta aleatorietà, essa va stimata dando prevalenza al principio della prudenza.
In ogni caso l’utilità pluriennale è giustificabile solo in seguito al verificarsi di determinate condizioni gestionali, produttive, di mercato che al momento della rilevazione iniziale dei costi devono risultare da un piano economico della società.
In assenza dell’intervento dell’OIC, facendo riferimento alla natura dell’incentivo all’esodo, era plausibile pensare che esso fosse il risultato di un periodo di lavoro che si snoda lungo la vita aziendale, con la conseguenza che lecitamente l’azienda poteva immaginare di gravarne il relativo costo sullo stesso arco di tempo cui le mensilità corrisposte al personale uscente potevano riferirsi, e non nel solo esercizio in cui il piano fosse approvato. L’OIC stronca ogni considerazione in merito e chiarisce la competenza e la contabilizzazione di tali spese.
Da quanto detto deriva che i costi per la ristrutturazione aziendale sono di competenza del periodo in cui:
- gli amministratori formalmente decidono di attuare il piano e
- tali costi siano attendibilmente stimabili.
Ciò detto occorre capire come rilevarli contabilmente considerato che essi dovranno confluire in conto economico. Più precisamente gli oneri di ristrutturazione aziendale dovranno essere considerati quali oneri la cui contropartita sarà rappresentata da un fondo ristrutturazione da iscrivere in B.3 di stato patrimoniale.
Il fondo accantonato comprenderà l’intera spesa di ristrutturazione, mano a mano però che le spese verranno sostenute tale fondo verrà stornato ottenendo in tal modo un effetto “neutrale” sul bilancio.
Chiaramente potrebbero verificarsi, tra l’accantonato ed il sostenuto, delle differenze positive o negative; tali differenze, se positive, costituiranno sopravvenienze attive dovute alla esuberanza del fondo, se negative, rappresenteranno sopravvenienze passive.
Al contrario l’ammontare delle retribuzioni corrisposte al personale in vigenza di rapporto di lavoro destinato però alla risoluzione andranno comunque rilevate negli ordinari conti accesi alle spese per le retribuzioni del personale.
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