La correzione degli errori in bilancio secondo la Circolare 31/E
di Sergio PellegrinoCon la circolare n. 31/E, uscita nella serata di ieri, l’Agenzia affronta il tema degli effetti fiscali della correzione degli errori in bilancio.
La questione è, come si sa, delicata, atteso il fatto che l’Amministrazione (ma lo stesso discorso vale anche per la giurisprudenza) ha spesso assunto posizioni molto rigide, ergendosi a custode “ortodossa” del principio di competenza, onde evitare che il contribuente sia “arbitro” dell’imputazione dei componenti di reddito in un periodo di imposta piuttosto che in un altro.
Il documento di prassi parte innanzitutto dal tema civilistico, individuando le fattispecie che rilevano in quanto considerate “correzioni di errori contabili”, fattispecie che non devono essere confuse con i cambiamenti di stima o di principi contabili. Per correggere l’errore contabile l’estensore del bilancio deve imputare alla parte straordinaria del conto economico dell’esercizio in cui questo emerge una componente a rettifica della voce patrimoniale interessata. La componente in questione non assume in prima battuta rilievo ai fini fiscali, non essendovi i presupposti individuati dall’art. 101 del Tuir per la deduzione delle sopravvenienze passive o dall’art. 88 per la tassazione di quelle attive.
La circolare, proseguendo sul cammino intrapreso con i diversi documenti di prassi elaborati negli ultimi anni sul tema della competenza, a partire dalla circolare n. 23/E del 2010, statuisce con chiarezza che al contribuente deve essere data la possibilità di recuperare il componente negativo non contabilizzato nel periodo di imposta nel quale si è commesso l’errore o di tassare quello positivo non contabilizzato nel periodo “giusto”. Questo con l’obiettivo di contemperare le esigenze del Fisco (in primis quella di evitare “artificiosi” salti d’imposta) con il divieto di doppia imposizione.
Nel caso in cui il contribuente abbia imputato un componente negativo in un periodo di imposta successivo rispetto a quello di competenza, dovrà effettuare una variazione in aumento nel periodo in cui emerge l’errore. Se invece l’omessa contabilizzazione riguarda un componente positivo, vi dovrà essere una variazione in diminuzione nella dichiarazione del periodo in cui si è intervenuti per correggere l’errore.
Non essendo possibile fare assumere rilevanza fiscale ai componenti negativi che emergono, l’Agenzia indica quali siano le modalità per recuperare la deduzione nel periodo d’imposta di competenza.
Se l’annualità è ancora emendabile, deve essere presentata una apposita dichiarazione integrativa “a favore”. Se invece così non è più, va comunque riconosciuta la possibilità di dare evidenza alla componente di costo non dedotta, purché sia ancora esperibile da parte dell’Amministrazione l’azione accertativa.
A tal fine il contribuente deve “ricostruire” tutte le annualità interessate dall’errore fino all’ultima, riliquidando autonomamente le relative dichiarazioni. Per l’ultimo periodo va presentata all’Agenzia una apposita dichiarazione integrativa nella quale devono confluire gli effetti delle riliquidazioni effettuate.
Per fare un’esemplificazione circa l’aspetto temporale: se il contribuente opera la ricostruzione degli imponibili dei periodi di imposta precedenti entro il 30 settembre 2013, vanno rilevati gli effetti nella dichiarazione integrativa Unico 2012; se invece viene superata tale soglia, la rilevazione deve essere fatta con un’integrativa a favore di Unico 2013.
La circolare propone degli esempi numerici in relazione alle diverse casistiche che si possono manifestare, a seconda del fatto che l’annualità nella quale è stato commesso l’errore e quelle successive evidenzino tutte un risultato positivo, ovvero una perdita fiscale, o ancora una situazione “mista”.
Ipotizziamo, in quest’ultimo caso, che nel 2012 il contribuente abbia appurato l’omessa imputazione di un costo di competenza nel 2009, che si era già chiuso con una perdita. Ferma restando la ripresa a tassazione del componente rilevato in bilancio nel 2012, la perdita del 2009 andrà “incrementata” e sarà necessario ricalcolare le risultanze delle dichiarazione dei successivi periodi di imposta fino al 2011 compreso, essendo quest’ultimo “emendabile” entro il 30 settembre 2013.
Quando invece il componente non rilevato contabilmente in un anno passato è positivo, va sempre presentata la dichiarazione integrativa “a sfavore”, per la quale il comma 8 dell’art. 2 del D.P.R. n. 322/1998 prevede un termine di trasmissione coincidente con quello dell’esercizio dell’azione di accertamento.
Facciamo l’esempio di un ricavo di competenza del 2009 emerso “in ritardo” nel 2012: va presentata dichiarazione integrativa “a sfavore” per il periodo 2009 e versata la maggiore imposta dovuta, sterilizzando invece il componente positivo rilevato nel bilancio 2012.
Si moltiplicano invece le integrative nel caso in cui il periodo “corretto” si sia chiuso in perdita e il componente positivo non contabilizzato riduca unicamente l’ammontare di questa, non incidendo sul versamento dell’imposta: il contribuente dovrà presentare tante dichiarazioni integrative “a sfavore” quante sono le annualità precedenti a quella ancora aperta.