La Corte di Giustizia UE si pronuncia sul regime IVA applicabile ai corrispettivi pagati per frequentare il campo da golf
di Guido MartinelliMarta Saccaro
Dalla Corte di Giustizia europea arriva un importante chiarimento in merito al regime applicabile, in ambito IVA, ai corrispettivi corrisposti dai frequentatori di un golf club. In particolare, secondo la Corte, il corrispettivo per l’utilizzo del campo da golf è soggetto al regime di esenzione IVA sia se il frequentatore del circolo è un socio dello stesso sia se è un soggetto esterno (Corte di giustizia Unione Europea Sez. V, Sent. 19 dicembre 2013, n. 495/12). Ciò in quanto, secondo la norma comunitaria, “gli Stati membri esentano le … operazioni strettamente connesse con la pratica dello sport o dell’educazione fisica, fornite da organismi senza fine di lucro alle persone che esercitano lo sport o l’educazione fisica” (art. 132, paragrafo 1, lett. m) della direttiva 2006/112/CE). Secondo la Corte, quindi, rilevante per l’esenzione è solo la natura del soggetto che fornisce la prestazione (deve trattarsi di un organismo senza fine di lucro) e le caratteristiche della prestazione (che deve essere connessa alla partica sportiva) ma non la tipologia di soggetto che riceve la prestazione stessa (e, quindi, sia o meno lo stesso socio dell’ente da cui riceve il servizio).
In buona sostanza, quindi, la sentenza mette in luce la discrasia attualmente esistente tra la normativa comunitaria e la normativa nazionale in relazione al regime applicabile ai corrispettivi corrisposti per i servizi connessi alla pratica sportiva. Come si ricorderà, infatti, in ambito nazionale l’articolo 4 del D.P.R. n. 633/1972 prevede che tali corrispettivi non sono soggetti all’imposta sul valore aggiunto qualora siano rese ai soci, associati o partecipanti o “nei confronti di associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento o statuto fanno parte di una unica organizzazione locale o nazionale, nonché dei rispettivi soci, associati o partecipanti e dei tesserati delle rispettive organizzazioni nazionali”. L’agevolazione è consentita solo qualora l’associazione sportiva dilettantistica che intende fruirne abbia adeguato il proprio statuto alle clausole di democraticità previste dallo stesso art. 4 del D.P.R. n. 633/1972.
Considerando, nello specifico, i circoli golf, a seguito di questa impostazione normativa l’Amministrazione finanziaria ha esplicitato il proprio pensiero in relazione ai corrispettivi corrisposti per la frequenza nella ris. n. 108/E del 6 luglio 1996. Con tale pronuncia, ancora oggi ritenuta valida, è stato specificato, in particolare, che il regime di non applicabilità dell’IVA si rende applicabile alle cosiddette “green fees” (le quote di accesso al “green”, cioè al campo) corrisposte dai soci del circolo ma anche a quelle pagate alle Associazioni golfistiche dai soci di altri circoli, anch’essi affiliati alla Federazione Italiana Golf, al fine di poter frequentare ed usufruire per una durata giornaliera, delle strutture dell’Associazione ospitante. In relazione a quest’ultimo aspetto è stato tuttavia precisato che l’agevolazione è consentita solo qualora il frequentatore del circolo dimostri (esibendo l’apposito “tesserino”) di essere socio di un circolo che recepisce tutte le prescrizioni normative in merito ai diritti riconosciuti ai propri soci.
L’agevolazione non viene invece riconosciuta ai corrispettivi (cosiddetti “green fees”) pagati ai circoli sportivi nazionali da giocatori stranieri soci di circoli golfistici esteri affiliati alle rispettive federazioni nazionali federazioni a loro volta aderenti agli organismi sovranazionali, Federazione Europea di Golf e Federazione Internazionale. In questo caso, infatti, secondo l’Amministrazione finanziaria, “il riferimento specifico all’organizzazione locale o nazionale esclude che possano andare indenni dall’imposizione IVA le prestazioni rese dal Circolo golfistico italiano nei confronti dei soci di altri circoli stranieri, ossia di organizzazioni che evidentemente non sono nazionali bensì extranazionali”.
Questa impostazione potrebbe cambiare, alla luce della pronuncia della Corte di Giustizia sopra richiamata, nella considerazione che, per consentire la non applicazione del tributo, non è rilevante la verifica del rapporto (socio o non socio) dell’utente con il club ma solo le caratteristiche dell’associazione che rende il servizio e della prestazione stessa. Trasposto nella realtà italiana questo principio potrebbe però porre un problema di carattere sostanziale in merito alla legittimazione stessa degli enti associativi. In particolare, se a soci e non soci viene riconosciuto lo stesso trattamento, ai fini IVA, che cosa distingue i primi dagli altri? E cosa spingerebbe quindi un soggetto a farsi socio del circolo? Si ricorda infatti che la normativa italiana ha scelto di regolare gli enti associativi in modo tale che le prestazioni rese a pagamento agli associati non vadano viste come un semplice “prezzo” per una controprestazione ricevuta ma la quota di rimborso richiesto al singolo per la partecipazione alle iniziative promosse dal club. Se venisse a mancare ogni distinzione in merito alla tipologia degli utenti del servizio offerto dall’associazione (soci o non soci) verrebbe a cadere il presupposto stesso sulla base del quale la normativa nazionale ha regolato le attività degli enti di tipo associativo.