La recente modifica dei reati tributari operata dal D.Lgs. n.158/15 ha spinto il Giudice per le indagini preliminari ad interrogarsi se la previsione di una soglia di punibilità più alta per i delitti di omesso versamento Iva, rispetto a quella prevista in caso di omesso versamento dell’imposte sui redditi, si ponga in conflitto con l’obbligo per gli Stati membri di tutelare gli interessi finanziari dell’Unione Europea.
In particolare, il GIP del Tribunale di Varese si è chiesto se possa considerarsi conforme ai principi espressi dal diritto europeo l’omessa equiparazione tra le soglie di punibilità previste dagli artt.10-bis (i.e. € 150.000) per il reato di omesso versamento di ritenute dovute o certificate e 10-ter (i.e. € 250.000) per il delitto di omesso versamento di IVA.
Il secondo motivo di rinvio, invece, si focalizza sulla conformità della causa di non punibilità introdotta all’art.13 D.Lgs. n.74/00 ai principi immanenti al diritto europeo, chiedendosi in particolare se tale esimente osti alla promulgazione di una norma nazionale che escluda la punibilità dell’imputato qualora l’ente dotato di personalità giuridica ad esso riconducibile abbia provveduto al pagamento tardivo dell’imposta e delle sanzioni amministrative dovute a titolo di IVA. Com’è noto, la causa di non punibilità per estinzione del debito tributario può trovare applicazione solo nel caso in cui il pagamento avvenga prima dell’apertura del dibattimento, pertanto, ci si interroga se nel caso in cui il rapporto fiscale si riferisca ad una persona giuridica siano effettivamente rispettati i criteri di “effettività, proporzionalità e dissuasività sanciti dagli artt. 4.3 TUE e 325 TFUE”. Ed infatti, posto che le sanzioni tributarie dell’Ente non possono estendersi ai suoi amministratori, la misura penale resterebbe l’unica sanzione applicabile, motivo per cui il pagamento del debito fiscale da parte dell’Ente e l’applicazione della citata causa di non punibilità potrebbero condurre ad una inevitabile sterilizzazione del principio di dissuasività della pena.
Il Tribunale di Varese ha, inoltre, richiesto l’intervento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea affinché verifichi se la “nozione di illecito fraudolento disciplinata all’art. 1 della Convenzione PIF vada interpretata nel senso di ritenere incluso nel concetto anche l’ipotesi di omesso, parziale, tardivo versamento dell’imposta sul valore aggiunto”. Sul punto, è doveroso evidenziare che il delitto di omesso versamento dell’IVA previsto e punito dall’art.10-ter del D.Lgs.74/00 si realizza semplicemente non versando l’imposta regolarmente, ragione che induce a ritenere il citato reato omissivo ben distante dal concetto di frode richiamato dalla Convenzione.
In conclusione si segnala che, nell’evenienza in cui i giudici europei reputino fondate le questioni prospettate dall’ordinanza in commento con esiti peggiorativi per l’imputato, sarà interessante verificare se prevarrà l’applicazione dei principi comunitari ovvero il “controlimite” del divieto di retroattività in malam partem previsto dalla normativa nazionale.