La crisi economica “giustifica” il reato di mancato versamento dell’imposta sul valore aggiunto
di Luigi Ferrajoli
La crisi economica, intesa anche come crisi di liquidità, assurge sempre più spesso negli ultimi tempi quale elemento di interesse nelle pronunce giurisprudenziali che abbiano ad oggetto la punibilità, sotto il profilo penale, dei contribuenti che si trovino in tale condizione al momento del termine previsto per il versamento delle imposte.
Sul punto, si ritiene opportuno segnalare la recentissima sentenza del Tribunale di Roma, Sezione Sesta Penale, n. 105 del 07/1/2014 che ha assolto il legale rappresentante di una società di capitali che non aveva versato, nei termini previsti per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, l’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale (articolo 10 ter D.Lgs. 74/2000).
Nel provvedimento in esame, il proscioglimento è stato pronunciato con la formula “il fatto non costituisce reato“, dando cioè rilevanza, nel caso di specie, al difetto dell’elemento soggettivo richiesto dalla configurabilità dell’illecito.
Trattasi di una sentenza molto interessante in quanto, nel corpo della motivazione, il Tribunale, dopo avere preliminarmente affermato che “la concreta esistenza di una crisi economica non è di per sè idonea a incidere sull’atteggiamento doloso eventualmente tenuto dal contribuente“, ripercorre i vari indirizzi dottrinali e giurisprudenziali in materia, enucleandone tre in particolare.
Un primo orientamento considera la situazione di crisi come elemento che renderebbe non esigibile dal soggetto una condotta conforme alla pretesa punitiva: il Tribunale, tuttavia, non aderisce alla tesi anzidetta, in quanto, secondo il Giudice, la mancanza di una norma, costituzionale o primaria, che espressamente preveda la categoria dell’inesigibilità e che la renda idonea a qualificarsi categoria generale dell’ordinamento penale, escluderebbe la condivisibilità di tale tesi.
Un secondo indirizzo propende per la crisi economica intesa come peculiare ipotesi di stato di necessità: anche in questo caso il Tribunale dissente, affermando la natura eccezionale di norme quali quelle sullo stato di necessità, la cui applicazione analogica “condurrebbe agli stessi risultati del riconoscimento dell’inesigibilità come categoria generale dell’ordinamento“.
La terza via, a cui il Tribunale dichiara di conformarsi, ritiene invece applicabile il disposto dell’articolo 45 Cod.Pen., che esclude la punibilità del soggetto qualora il fatto sia stato commesso per caso fortuito o forza maggiore.
Più specificamente, secondo il Giudice, la crisi economica deve essere qualificata “alla stregua di una forza esterna in grado di condizionare la condotta del sostituto d’imposta, il quale non avrà alcuna possibilità se non quella di agire illecitamente“.
Per poter essere suscettibile di tale valutazione, tuttavia, la crisi economica dovrà necessariamente richiedere l’avveramento di due condizioni: non dovrà essere imputabile al contribuente, altrimenti verrebbe a mancare il requisito dell’imprevedibilità; non possa essere fronteggiata tramite il ricorso “ad idonee misure da adottarsi in concreto“.
In particolare, proprio questo ultimo aspetto dovrà, caso per caso, essere valutato rigorosamente dal Giudice, per accertare se il soggetto abbia concretamente affrontato la crisi adottando gli strumenti necessari per reperire “le risorse necessarie a consentire il corretto e tempestivo adempimento delle norme tributarie“, anche contemperando il parallelo interesse alla continuazione dello svolgimento dell’attività di impresa.
Si sottolinea che, nell’ipotesi in esame, l’imputato aveva chiesto aumenti di fido agli istituti bancari, richiesto l’anticipo della rateizzazione del debito presso l’Agenzia delle Entrate. Ricevuto diniego per mancanza di garanzie, il medesimo aveva richiesto mutui garantiti da ipoteca iscritta su beni personali, circostanza che aveva consentito successivamente di superare la crisi societaria e versare gli importi dovuti, seppur in ritardo e rateizzati.
In conclusione, il Tribunale ha dunque ritenuto che, avendo l’imputato predisposto misure astrattamente idonee a superare la crisi, “il sopraggiungere di eventi o circostanze che abbiano concretamente inficiato e precluso il superamento della stessa (il diniego della concessione di fido e della tempestiva rateizzazione del debito tributario), configuri il ricorrere dell’ipotesi di causa maggiore impeditiva della condotta penalmente lecita“.
Peraltro, come si è letto sugli organi di stampa di recente, il Governo – con una nota del sottosegretario all’Economia – si è impegnato a intervenire sulla questione in sede di attuazione della delega fiscale (L. 11.3.2014 n.23, in vigore dal 27 marzo scorso), recependo pertanto l’orientamento giurisprudenziale descritto sulla mancanza di liquidità temporanea dei soggetti tenuti al versamento dell’IVA.