La cristallizzazione della massa passiva a seguito del fallimento
di Andrea RossiVeronica PigarelliA seguito della sentenza dichiarativa di fallimento, i creditori sociali acquisiscono il diritto a partecipare alla distribuzione dell’attivo ricavato dalla liquidazione del patrimonio del fallito, sulla base del credito esistente al momento della dichiarazione di fallimento, stante il fatto che ai sensi dell’articolo 52 L.F. “il fallimento apre il concorso dei creditori sul patrimonio del fallito”.
Affinché tale diritto possa essere assicurato ai creditori sociali, è necessario cristallizzare la massa passiva sulla base dei seguenti due principi:
- i debiti pecuniari e non pecuniari del fallito si considerano scaduti, agli effetti del concorso, alla data del fallimento;
- la dichiarazione di fallimento sospende il corso degli interessi convenzionali o legali agli effetti del concorso, fino alla chiusura del fallimento stesso, a meno che i crediti non siano garantiti da ipoteca, pegno o privilegio.
Con riferimento al punto 1) è evidente come la legge fallimentare faccia riferimento ai debiti non scaduti e, come tali, potranno concorrere al passivo del fallimento per l’importo in linea capitale, non maturando interessi in corso di procedura. Differente è il trattamento dei debiti scaduti prima del fallimento; tali debiti potranno concorrere per la somma dovuta in linea capitale maggiorata degli interessi convenzionali o legali maturati dalla data di scadenza alla data di dichiarazione del fallimento. In merito alla tipologia di tasso da applicare sul debito in linea capitale, si precisa che in presenza di interessi legali, il tasso di interesse è fissato annualmente dal legislatore con decreto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, mentre per gli interessi convenzionali il tasso è fissato contrattualmente dalle parti. Gli interessi moratori, infine, sono interessi dovuti dal debitore qualora sia in ritardo nel pagamento del proprio debito e devono essere riconosciuti in presenza di una formale messa in mora avente data certa antecedente la dichiarazione di fallimento. Con riferimento agli interessi moratori si ritiene però opportuno precisare, richiamando una recente sentenza della Cassazione (n. 3300 del 8 Febbraio 2017), che gli stessi maturano automaticamente, nelle sole transazioni commerciali tra imprese, “secondo il meccanismo previsto dall’articolo 4 della L. 231/2002, e senza pertanto la necessità formale della messa in mora del debitore”. Le transazioni commerciali hanno, infatti, un loro statuto peculiare, imposto dal diritto comunitario, e di natura speciale rispetto alle preesistenti disposizioni comuni nel diritto concorsuale (articoli 54 e 55 L.F.); pertanto, in presenza di transazioni commerciali tra imprese, ove sussistano i presupposti per l’applicazione del diritto comunitario, gli interessi moratori ricorrono ex lege anche in assenza di una formale messa in mora del debitore e fino a quando non intervenga la dichiarazione di fallimento.
Il principio richiamato al precedente punto 2) ha invece effetti differenti sui creditori in funzione della natura del proprio credito; infatti, mentre per i crediti di natura chirografaria non si pone un problema di trattamento degli interessi post-fallimentari, potendo maturare interessi sul capitale fino alla data del fallimento, per i crediti di natura privilegiata, per privilegio generale, pegno o ipoteca, la dichiarazione di fallimento non sospende il corso degli interessi, potendo pertanto maturare interessi anche in corso di fallimento.
Laddove il fallimento sia stato dichiarato a seguito di una procedura di natura concorsuale non andata a buon fine, è opportuno ricordare come la sospensione dell’applicazione degli interessi non si applica a decorrere dalla data della sentenza dichiarativa di fallimento bensì dalla precedente data di presentazione della domanda di concordato.
Si ritiene poi opportuno precisare che nelle domande di insinuazione al passivo, il creditore deve sempre specificare le modalità di calcolo degli interessi, laddove dovuti, indicando la data di decorrenza, il tasso applicabile ed il periodo di riferimento; proprio in merito a tale aspetto, si richiama una recente sentenza della Cassazione, la n. 21459 del 15 settembre 2017, nella quale la Suprema Corte ricorda come il trattamento preferenziale (inteso come l’estensione del diritto di prelazione) accordato dalla legge agli accessori del credito non comporta la sottrazione degli stessi alla necessità di una specifica domanda di ammissione al passivo (cfr. Cass., Sez. V, 24.3.2006, n. 6642; 19.3.1996, n. 2321; Cass., Sez. I, 21.2.2001, n. 2493). Pertanto, può essere sufficiente indicare, nella domanda di insinuazione, la mera individuazione dell’importo complessivamente dovuto per interessi e per capitale, ma occorre l’indicazione di tutti gli elementi necessari per il calcolo degli stessi (e quindi almeno della data di scadenza del credito e del tasso d’interesse applicabile); quindi solo in presenza di tali elementi si consente, al Giudice delegato nel procedimento di verifica del passivo ed al Tribunale nell’eventuale giudizio di opposizione, di verificare l’esatta determinazione dell’importo richiesto, anche in relazione al trattamento differenziato previsto per gli interessi maturati successivamente alla dichiarazione di fallimento.
Da ultimo, si ritiene opportuno evidenziare che lo scorso 11 Ottobre il Senato ha approvato in via definitiva il disegno di legge n. 2681 avente ad oggetto la “Delega al governo per la riforma delle discipline della crisi d’impresa e dell’insolvenza” il cui testo detta alcuni principi e criteri ai quali si dovranno attenere i decreti attuativi di prossima emanazione che introdurranno importanti novità nell’ambito della disciplina fallimentare. Si ritiene comunque che nel nuovo fallimento, che si chiamerà liquidazione giudiziale, i principi trattati nel presente contributo non dovrebbero subire alcuna variazione per quanto attiene la formazione dello stato passivo.