La CTR Lombardia sconfessa la tesi dell’incasso giuridico
di Alessandro BonuzziLa sentenza n. 354 della CTR Lombardia, depositata lo scorso 29 gennaio, ha scritto un nuovo capitolo della “saga” dedicata all’istituto dell’incasso giuridico, confutando la posizione dell’Amministrazione finanziaria, nonché quella fornita in più occasioni dalla Corte di Cassazione.
Si ricorda che l’incasso giuridico è stato introdotto nel nostro ordinamento dalla stessa Amministrazione finanziaria che, con la C.M. 73/E/1994, interpretando la normativa allora vigente, ha affermato che la rinuncia, da parte del socio, di crediti vantati verso la società, correlati a redditi tassati per cassa, presuppone l’incasso dei crediti medesimi in capo al socio stesso, con conseguente obbligo di tassazione dell’importo rinunciato. L’incasso viene qualificato come giuridico, e non reale, poiché ritenuto sussistente in base a una fictio iuris.
L’istituto in questione ha trovato recente conferma anche nella risoluzione AdE 124/E/2017.
La giustificazione dell’incasso giuridico sostenuta dal Fisco si crede sia di natura antielusiva. L’istituto sarebbe volto ad evitare salti d’imposta generati da presunte asimmetrie impositive, che si verificherebbero allorquando la società partecipata abbia dedotto per competenza il costo:
- senza subire alcuna tassazione in occasione della successiva remissione del debito e
- senza che il socio creditore subisca alcuna imposizione, ma addirittura si veda incrementato, in misura corrispondente al credito rinunciato, il valore della propria partecipazione.
La Cassazione, pur arrivando alle medesime conclusioni, fonda le sue ragioni su argomentazioni differenti: secondo l’ordinanza n. 1335/2016 la rinuncia sarebbe una manifestazione di disponibilità e godimento di ricchezza al pari che l’incasso effettivo. In entrambi i casi, incasso e rinuncia, il credito entra a far parte del patrimonio del socio.
La CTR lombarda, nella sentenza in commento, sconfessa le giustificazioni dell’Amministrazione finanziaria e della Cassazione, affermando:
- da un lato, che non pare sussistere alcuna connotazione antielusiva delle norme che sovrintendono alla tassazione dei redditi cui risulta applicabile il principio di cassa e,
- dall’altro, che il presupposto per l’imposizione del credito rinunciato non può che essere l’incasso reale poiché solo con la percezione delle somma si verifica un effettivo incremento del patrimonio.
D’altro canto, continua la sentenza, “il lamentato salto d’imposta, qualora si verifichi, non sembra sufficiente a legittimare l’operatività dell’istituto dell’incasso giuridico. Da un lato, infatti, tale eventuale salto d’imposta pare tollerato dal legislatore. … Né la volontà di prevenire il salto d’imposta può legittimare la violazione di un principio costituzionale quale quello della capacità contributiva (art. 53 Cost.). La rinuncia, infatti, non comporta alcuna monetizzazione del credito in capo al socio, ma soltanto il trasferimento del suo valore su quello della partecipazione detenuta nella società partecipata. Aumento di valore della partecipazione che non è necessariamente sinonimo di un arricchimento, anche differito, per il socio, in quanto all’atto del definitivo realizzo della partecipazione il maggior valore rappresentato dal credito potrebbe essere svanito”.
Insomma, a parere della Commissione Lombarda “Altre, dunque, devono essere le soluzioni perseguibili ai fini di evitare l’eventuale salto d’imposta, che consentano di tassare l’effettivo arricchimento. In questo senso, infatti, è sembrato muoversi il legislatore del 2015 (articolo 13, comma 1, lett. a), D.Lgs. 147/2015), introducendo la parziale rilevanza fiscale dell’operazione di rinuncia dei crediti da parte dei soci attraverso l’imponibilità, a titolo di sopravvenienza attiva, in capo alla società partecipata della rinuncia medesima per la parte che eccede il valore fiscalmente riconosciuto del credito”.
Le conclusioni della sentenza in commento, che porterebbero alla disapplicazione della tesi dell’incasso giuridico, paiono più che condivisibili; è necessario, però, che vengano confermate in sede di legittimità. Non resta, quindi, che attendere l’approdo della causa davanti ai giudici della Suprema Corte.