La Cultura organizzativa: nemica insidiosa o preziosa alleata?
di Lucaemanuel D’Amico – Consulente di BDM Associati SRLQualsiasi gruppo di individui matura e porta con sé un insieme di idee, valori, convinzioni, attitudini e comportamenti. Questo rappresenta quello che le scienze sociali definiscono Cultura. Ebbene, il concetto si estende anche alle persone che compongono un’organizzazione, ad esempio lo studio professionale. Parliamo in questo caso di cultura organizzativa.
Per fare un esempio concreto, il fatto che lo studio tenda ad offrire tutto il supporto possibile ai propri clienti senza addebitare un extra per un’eventuale consulenza aggiuntiva, rappresenta una scelta strategica (o non strategica, sarebbe meglio dire). Il fatto che le persone all’interno dello studio cerchino di aiutare sempre e con grande cura il cliente, anche quando le cose da fare sono tante e il tempo non lo consentirebbe, rappresenta invece una prassi ben delineata. Ci troviamo quindi di fronte ad un effetto concreto e tangibile dell’interpretazione che i collaboratori di studio danno al concetto di servizio.
Partendo da questa situazione particolare, possiamo evidenziare alcune caratteristiche tipiche del concetto di cultura organizzativa, su cui è indispensabile soffermarsi per comprenderne appieno l’importanza strategica.
- La cultura organizzativa, intesa come idee, valori e attitudini, è sempre presente in qualsiasi gruppo di persone. È quindi corretto affermare che anche lo studio è necessariamente caratterizzato dalla presenza di questo elemento dai contorni non facilmente delineabili ma dagli effetti molto concreti.
- Possiamo considerare cultura organizzativa non solo la sensibilità, le idee e i concetti consolidati nei membri dello studio, ma anche le attitudini e i comportamenti che ne derivano. Detto in altri termini, la cultura manifesta i suoi effetti attraverso prassi, approcci e metodologie di lavoro.
- La cultura organizzativa si sviluppa a partire da un gruppo di persone, questo significa che in determinate circostanze all’interno dello studio è possibile ritrovare anche delle sottoculture. Ad esempio, due impiegate che lavorano a stretto contatto, parlando tra loro potrebbero aver maturato l’idea che una specifica prassi di lavoro sia poco utile e onerosa a livello di tempo richiesto. Questo potrebbe portarle a seguire in modo approssimativo tale prassi, o persino ad aver trovato un modo diverso di fare le cose, a insaputa del professionista e degli altri membri di studio.
- Come possiamo evincere da quanto detto, la cultura organizzativa è un costrutto decisamente complesso, influenzabile da fattori esogeni ed endogeni. Gestire un carico di lavoro troppo grande, troppi clienti difficili, o una serie di attività organizzate in modo inefficace, potrebbe portare le persone a sviluppare insofferenza per il proprio lavoro. Questo a sua volta potrebbe stimolare l’adozione di prassi non in linea con le aspettative e in generale una minor importanza data al servizio e alla soddisfazione del cliente.
Da queste caratteristiche possiamo trarre un semplice ma prezioso insegnamento: è fondamentale osservare e comprendere la cultura organizzativa del proprio studio, in termini non solo di abitudini e comportamenti che ne derivano, ma partendo dalle idee e dalle attitudini che la costituiscono a monte. Il passaggio successivo consiste nell’identificare eventuali criticità e margini di miglioramento. A quel punto la domanda sarà molto semplice: Come posso cambiare la cultura organizzativa del mio studio, portandola ad essere una fucina di buone prassi e costanti miglioramenti?
Se vi è reciproca influenza tra idee e attitudini da un lato e prassi e azioni pratiche dall’altro, allora è possibile anche sfruttare i secondi per influenzare i primi e dunque ottenere un circolo virtuoso. Spiegato nel modo più semplice, la cultura organizzativa può essere modificata attraverso l’imposizione di determinate azioni. Queste col tempo (qualora effettivamente virtuose) passeranno dall’essere imposte all’essere prima accettate e poi apprezzate dal personale. L’iniziale resistenza al cambiamento propria di qualsiasi contesto umano lascerà il posto ai vantaggi che le persone otterranno dal cambiamento stesso, e da questo anche idee e attitudini si modificheranno. Da qui un effetto a cascata anche sulle altre azioni pratiche che le persone introdurranno nella propria quotidianità.
Vediamo un esempio concreto, tratto da un caso reale. Una delle attitudini vitali all’interno dello studio (e di qualsiasi organizzazione) è l’attenzione allo scambio virtuoso di informazioni, sempre seguendo i criteri di efficienza ed efficacia. Immaginiamo uno studio in cui difficilmente le persone condividono in maniera organizzata informazioni legate ai cambiamenti nella normativa o riguardanti i clienti che seguono insieme. Una possibilità potrebbe essere quella di organizzare specifici momenti di scambio e condivisione, imposti e ben circoscritti in termini temporali. Tendenzialmente, man mano che questa imposizione viene portata avanti, le persone finiscono per non percepirla più come un obbligo, bensì come una pratica molto utile e dall’alto valore aggiunto. In generale questa buona prassi tende a migliorare l’attitudine alla collaborazione e allo scambio di informazioni all’interno dello studio manifestando i suoi effetti anche al di là dei momenti di condivisione imposta.
Per concludere, possiamo riflettere su quanto la cultura organizzativa sia un fattore centrale nella vita dello studio. Ignorarne l’esistenza significherebbe rendersi cechi alle dinamiche che ne regolano la quotidianità. Da un lato ci esporremmo quindi al rischio di non cogliere e non risolvere situazioni critiche; dall’altro ci priveremmo della possibilità di lavorare su possibili miglioramenti. Al contrario, è fondamentale comprendere la cultura organizzativa dello studio ed elaborare precise azioni da intraprendere, nell’ottica di cambiare in meglio attitudini e comportamenti del personale, la più importante delle risorse.