La decorrenza della nuova norma sugli accertamenti di immobili e aziende
di Cristoforo FlorioL’art. 5, comma 3, del D.Lgs. n. 147/2015, pubblicato lo scorso 22 settembre 2015 sulla G.U. (anche noto come “Decreto internazionalizzazione”), fornisce l’interpretazione degli articoli 58, 68, 85 e 86 del Tuir, i quali disciplinano – rispettivamente – le plusvalenze derivanti dalle cessioni di aziende nell’ambito dei redditi d’impresa (art. 58), le plusvalenze derivanti dalle cessioni di immobili da parte di persone fisiche (art. 68), i ricavi e le plusvalenze patrimoniali conseguiti dai soggetti IRES (art. 85 e 86).
La nuova disposizione stabilisce che per le cessioni di immobili e di aziende (nonchè per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi) l’esistenza di un maggior corrispettivo di cessione non è presumibile soltanto sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro o delle imposte ipotecaria e catastale.
Pertanto, l’eventuale accertamento di maggior valore esperito ai fini dell’imposta di registro in relazione ad una cessione di azienda o di un immobile, poi resosi definitivo per mancanza di impugnazione o semplicemente definito dal contribuente in acquiescenza o in adesione, non legittimerà più l’Amministrazione finanziaria – in assenza di ulteriori elementi di prova – a trasformare automaticamente il maggior valore normale in maggior prezzo di vendita percepito dalla parte venditrice, con la conseguente emersione di una plusvalenza “maggiorata” tassabile ai fini delle imposte dirette.
Viene dunque superato l’orientamento consolidato della Corte di Cassazione (cfr. Cass. 28.11.2014 n. 25290, Cass. 20.7.2012 n. 12632, Cass. 28.6.2012 n. 11012, Cass. 3.11.2011 n. 22869 e Cass. n. 13.8.2010 n. 18705), la quale aveva in più occasioni chiarito che, sebbene l’imposta di registro e le imposte sui redditi definiscano diversamente le proprie basi imponibili (valore normale o di mercato come base imponibile per l’imposta di registro e corrispettivo di vendita quale punto di riferimento per la determinazione della plusvalenza da sottoporre alla tassazione diretta IRPEF/IRES/IRAP), vi era tuttavia una presunzione di corrispondenza del prezzo incassato con il valore di mercato; tale circostanza legittimava quindi l’Amministrazione finanziaria a procedere in via induttiva all’accertamento, ai fini delle imposte dirette, di un maggior valore dell’immobile o dell’azienda oggetto di cessione, laddove vi fosse uno scostamento rispetto al valore accertato in relazione all’imposta di registro. Il tutto con la conseguenza di addossare sul contribuente l’onere di superare la presunzione di corrispondenza tra corrispettivo e valore, fornendo la (difficile e spesso impossibile) prova di aver, concretamente, venduto a prezzo inferiore.
Peraltro, la norma include nel suo campo di applicazione non solo il maggior valore “accertato” (dal Fisco) o “definito” (dal contribuente in contraddittorio col Fisco) ma anche quello volontariamente “dichiarato” dalle parti in fase di compravendita; tale aspetto costituisce un importante elemento da tenere in considerazione nella fase di predisposizione della contrattualistica relativa alla cessione dell’azienda o dell’immobile, in quanto consente di affrontare con serenità e con la dovuta pianificazione le situazioni in cui, per le più disparate ragioni, vi sia una effettiva discrepanza tra il “valore normale” del bene ed il prezzo effettivamente percepito dal venditore.
Si pensi, ad esempio, ad un consistente sconto di prezzo pattuito dalle parti, in funzione delle particolari condizioni di pagamento e/o delle necessità finanziarie di realizzo immediato da parte del venditore; in tale circostanza, ben potrebbe verificarsi lo scostamento tra il valore di mercato del bene oggetto di cessione ed il prezzo di compravendita corrisposto dall’acquirente. Pertanto, si potrà valutare l’indicazione in atto di un duplice valore (quello “normale”, su cui applicare l’imposta di registro, e quello riferibile al prezzo di vendita, su cui calcolare la plusvalenza da cessione rilevante ai fini delle imposte dirette).
A ben vedere, infatti, finora la differenza tra i due suddetti valori non emergeva quasi mai negli atti di trasferimento, proprio nel timore che l’automatismo sistematicamente applicato da parte dell’Agenzia delle Entrate finisse per determinare effetti nefasti e indesiderati in capo al venditore.
Ciò detto, va compreso qual è il momento da cui tale nuova normativa esplica i propri effetti giuridici, soprattutto per comprendere l’effetto sui contenziosi ancora in essere.
Qualche dubbio potrebbe sorgere leggendo il documento “Misure per la crescita e l’internazionalizzazione delle imprese”, datato 11 maggio 2015 ed elaborato dal Servizio del Bilancio del Senato della Repubblica e dal Dipartimento delle Finanze della Camera dei Deputati, in cui si afferma che “(…) in assenza di ulteriori precisazioni, è da presumersi che le altre disposizioni (tra cui quella di nostro interesse) seguano le regole generali di efficacia delle norme tributarie nel tempo, secondo lo Statuto del contribuente [e valgano] solo dal periodo di imposta successivo a quello in corso all’entrata in vigore dello schema in commento (…)”.
Tuttavia, tale tesi non appare condivisibile per una serie di elementi che, di seguito, proviamo a ricapitolare.
Innanzitutto e come può evincersi dall’analisi del testo della normativa in commento, è la stessa lettera della nuova disposizione che fornisce uno spunto, laddove statuisce che gli articoli “(…) si interpretano nel senso (…)”. Nella stessa direzione si esprime la relazione tecnica al provvedimento, che definisce la norma “(…) di natura interpretativa (…)”.
Circa il riferimento operato dal documento sopra citato alle disposizioni dello Statuto del contribuente, si deve osservare che se, da un lato, esso stabilisce che “le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo”, dall’altro la Corte di Cassazione (Cass., 21 aprile 2001, n. 5931) ha chiarito che lo Statuto citato è “(…) uno strumento di garanzia del contribuente e, quindi, mentre serve ad arginare il potere dell’erario nei confronti del soggetto più debole del rapporto di imposta, non può ostacolare l’approvazione di disposizioni che siano a favore del contribuente, che si risolvano eventualmente in un’ulteriore autolimitazione del potere legislativo (…)”.
In questo stesso senso interpretativo va inoltre evidenziato che lo stesso “Decreto internazionalizzazione”, all’articolo 5, disciplina l’entrata in vigore esclusivamente per la norma contenuta nel comma 1 (relativo ai costi “black list”), non specificando nulla in merito all’efficacia temporale della disposizione di cui al comma 3, relativa all’accertamento delle plusvalenze; ciò a conferma del fatto che, trattandosi di disposizione di natura interpretativa, non vi è alcun bisogno di specificare la data di entrata in vigore.
Da ultimo, si ricorda che, nell’audizione del Direttore dell’Agenzia delle Entrate innanzi alla VI Commissione Finanze e Tesoro del Senato della Repubblica del 19 maggio 2015, la stessa Amministrazione finanziaria ebbe modo di evidenziare che la norma in commento è di “(…) interpretazione autentica e, come tale, applicabile anche per il passato e quindi per gli atti rogati anteriormente all’entrata in vigore del Decreto legislativo in esame (…)”.
Alla luce di quanto precede, si può quindi concludere che la disposizione sull’accertamento delle plusvalenze da cessioni di immobili e/o aziende ai fini delle imposte dirette ha natura chiaramente interpretativa e, pertanto, ha efficacia retroattiva, con un conseguente impatto anche sul contenzioso in corso e sulle future dispute tra contribuente e Agenzia delle Entrate.
Pertanto, laddove si presentasse il caso concreto, va certamente valutata con interesse l’opzione per il ricorso tributario a discapito dell’utilizzo dei vari strumenti deflattivi del contenzioso fiscale, avendo sempre bene a mente che la nuova disposizione di legge non esclude in toto gli accertamenti basati sul valore definito, dichiarato o accertato ai fini dell’imposta di registro o delle ipo-catastali ma solo quelli fondati esclusivamente su tale dato. Pertanto, è presumibile che, in futuro, l’Agenzia delle Entrate integrerà tali accertamenti con ulteriori elementi, quali – ad esempio – le indagini di tipo “redditometrico” in capo alla parte venditrice, al fine di non incorrere nel divieto di cui all’articolo 5, comma 3, del D.Lgs. n. 147/2015.