La deducibilità delle sponsorizzazioni secondo la Corte di Cassazione
di Guido MartinelliDopo un lungo periodo di incertezze sull’imputazione come spese pubblicitarie (a deducibilità piena) o di rappresentanza (a deducibilità limitata), delle spese di sponsorizzazione sportiva, la previsione di cui all’articolo 90, comma 8, L. 289/2002 aveva apparentemente chiarito il problema.
Infatti la norma (“8. Il corrispettivo in denaro o in natura in favore di società, associazioni sportive dilettantistiche…costituisce, per il soggetto erogante, fino ad un importo annuo complessivamente non superiore a 200.000 euro, spesa di pubblicità, volta alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante mediante una specifica attività del beneficiario,…’) sembrava stabilire, almeno per le sponsorizzazioni di valore non superiore ai 200.000 euro, una sorta di presunzione assoluta in favore della spesa pubblicitaria.
La Suprema Corte, sez. VI, con ordinanza n. 16113 del 19.06.2018, sulla falsariga dei propri analoghi precedenti (vedi sent. n. 5720/2016 e nn. 8981, 14232, 14235/2017) aveva confermato che la disciplina di cui all’articolo 90, comma 8, L. 289/2002 ha introdotto una presunzione legale assoluta circa la natura pubblicitaria e non di rappresentanza di dette spese di sponsorizzazione a condizione che il beneficiario sia una associazione o società sportiva dilettantistica, che sia rispettato il limite complessivo di spesa di duecentomila euro, che la sponsorizzazione miri a promuovere l’immagine e i prodotti dello sponsor e che il soggetto sponsorizzato abbia effettivamente posto in essere una specifica attività promozionale quale controprestazione.
Anche successivamente la Corte di Cassazione, sez. V, con ordinanza n. 26590 del 22.10.2018 ha confermato il consolidato orientamento della giurisprudenza che “ha delimitato l’ambito delle detrazioni fiscali delle spese di sponsorizzazione, di cui all’articolo 90, comma 8, della L. n. 289 del 2002, statuendo che esse sono assistite da una presunzione legale assoluta circa la loro natura pubblicitaria e non di rappresentanza” condizionatamente alla ricorrenza, congiunta, della natura di compagine sportiva dilettantistica dello sponsorizzato, del rispetto del limite quantitativo di spesa volta alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante, dell’effettivo svolgimento da parte dello sponsorizzato di una specifica attività promozionale.
Su questa situazione, apparentemente consolidata, si pone una recente ordinanza (Corte di Cassazione – sez. V – ordinanza n. 1326 del 18.01.2019) che sembra rimettere in discussione il principio.
Nel caso in esame, l’Ufficio aveva contestato l’antieconomicità della spesa, rispetto ai ricavi per vendite sul mercato nazionale, considerato il mercato di riferimento dello sponsor, marginale rispetto a quello del soggetto sponsorizzato, ovvero una compagine sportiva dilettantistica “attiva solo al livello locale, nell’ambito di discipline sportive lontane dal grande pubblico” così da diminuire grandemente le aspettative di aumento delle vendite.
La contestazione era ritenuta “efficace” in considerazione dell’attività imprenditoriale della società sponsor, rivolta al 99% al mercato estero, avente ad oggetto il commercio all’ingrosso di medicinali e l’intermediazione nel commercio nei prodotti farmaceutici.
La specifica contestazione dell’Erario era incentrata sulla inerenza dei costi ovvero su un requisito di deducibilità; investiva, quindi, il presupposto costitutivo della presunzione di deducibilità introdotta dalla disposizione di cui all’articolo 90, comma 8, L. 289/2002.
È chiaro che l’inerenza è un presupposto per la deducibilità e quindi i costi sono deducibili se sono inerenti; diversamente non può operare la disciplina di favore.
La disposizione di cui all’articolo 90, comma 8, L. 289/2002 introduce una presunzione legale di qualificazione, come spese di pubblicità, delle spese di sponsorizzazione a condizione che il soggetto sponsorizzato sia una associazione sportiva dilettantistica, che sia rispettato il limite dell’importo massimo predeterminato, che l’erogazione sia diretta a promuovere l’immagine ed i prodotti dello sponsor mediante una specifica attività del beneficiario.
Entro tali limiti opera la presunzione ex lege, che è una presunzione di deducibilità, non di inerenza.
Qualora l’Erario contesti in radice l’inerenza dei costi e quindi l’esistenza di un presupposto di deducibilità, il contribuente è gravato dell’onere di fornire prova della congruenza ed inerenza di tali costi.
Tanto non significa che “cade” la presunzione legale di deducibilità ma che essa non “scatta” qualora sono dubitati gli elementi costitutivi.
La presunzione legale assoluta assiste le spese di cui all’articolo 90, comma 8, L. 289/2002 se è data prova dei presupposti e del pieno rispetto delle condizioni previste dalla norma; la presunzione non opera sulla verità dei fatti ma sulla qualificazione di un fatto o di un atto sulla base di un ragionamento presuntivo che è la stessa norma a premettere. Quindi, se sono rispettati i parametri di esistenza, competenza ed inerenza del costo e quindi dell’imponibile maturato e ricorrono le condizioni individuate dalla norma in esame il costo è deducibile; se vi è contestazione in radice e non soccorre la prova positiva da parte del contribuente, deve concludersi per la mancanza di elementi giustificativi necessari ai fini della deducibilità.
E, come in un interminabile gioco dell’oca, anche per la deducibilità fiscale delle spese di sponsorizzazione si è tornati alla casella di partenza.