La definizione della lite di una delle parti “non libera” le altre
di Maurizio Tozzi – Comitato Scientifico Master Breve 365In attesa di conoscere la versione definitiva della prossima definizione delle liti, che per quanto preannunciata dovrebbe essere speculare all’ultima conosciuta nel 2018, giunge una interessante ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 37361 depositata il 21.12.2022, che si esprime tra l’altro sull’efficacia della definizione della lite da parte di uno dei soci all’interno del “complicato” rapporto esistente nelle società a ristretta base partecipativa.
Sul punto è utile rimarcare che, come da giurisprudenza consolidata (ed anche l’ordinanza ivi commentata si allinea al riguardo), in presenza di una srl con un numero non elevato di soci, ovvero di soci “legati” da rapporti di familiarità, è ritenuta valida la presunzione operata dall’Amministrazione finanziaria secondo cui a fronte della presunta evasione della società, vi sia anche l’avvenuta distribuzione degli utili “a nero” in favore dei soci.
Il tema è ormai noto e fonda su una serie di assunti che sembrano ormai inamovibili:
- la ristretta base non ha un “perimetro” di definizione ben individuato, posto che non vi è una disposizione normativa ad individuarla e sulla base delle esperienze giurisprudenziali finora osservate non si rinviene in un numero massimo prestabilito di soci, ma è valutata caso per caso e, può dirsi, è fondata sui rapporti esistenti tra i soci medesimi, soprattutto quando vi sono vincoli familiari e non vi sono tracce di conflittualità nella gestione societaria;
- non si rientra nell’ipotesi del litisconsorzio necessario, pur se ormai la giurisprudenza recente ritiene indispensabile che vi sia dapprima la conclusione della lite in capo alla società per poi apprezzare la presunzione in capo ai soci;
- non è caratterizzata da una eventuale illegittima “doppia presunzione”, perché si ritiene che il “fatto certo” sia rappresentato dall’avvenuta evasione in capo alla società e dunque la presunzione attiene solo alla successiva distribuzione dell’utile a nero;
- i soci sul piano difensivo possono comprovare la non percezione dell’utile, o in quanto trattasi di somme trattenute dalla società e dalla stessa reinvestite (ad esempio, potrebbe trattarsi di finanziamenti impropri avvenuti tra società non collegate tra di loro, pur se riferite alla medesima compagine sociale, che vengono recuperati a tassazione in capo alla società ma che sono comunque giustificati sul piano del loro impiego in funzione della documentazione contabile), oppure perché totalmente estranei alla gestione ed anzi in conflitto con l’amministratore (con dunque implicita “accusa” che sia stato quest’ultimo ad avvantaggiarsi dell’evasione societaria).
Sul piano sostanziale, si è in presenza di distinti accertamenti, che attengono non soltanto ad imposte diverse, ma anche ad ipotesi omissive totalmente autonome, seppur collegate: da un lato, in capo alla società, si contesta il maggior reddito d’impresa realizzato; dall’altro, in riferimento ai soci, si presume l’avvenuta distribuzione a nero degli utili.
Partendo da tali posizioni autonome, anche sul piano delle eventuali liti sottostanti emergenti a seguito di ricorsi sia dei soci che della società, si concretizzano ulteriori posizioni autonome ed indipendenti, seppur collegate. È evidente, infatti, che l’eventuale vittoria del contenzioso societario, con dunque azzeramento della presunta evasione, determini inevitabilmente anche lo svuotamento della presunta distribuzione degli utili; ma è altrettanto evidente che le scelte e le tesi difensive di ognuna delle parti in causa siano totalmente svincolate, ben potendo, ad esempio, aversi una adesione da parte della società ed una continuazione della lite da parte dei soci (o viceversa), così come non sono infrequenti le ipotesi in cui i soci si difendano dimostrando la loro totale estraneità alla percezione dell’utile a nero (quindi non preoccupandosi delle sorti dell’accertamento societario).
La recentissima ordinanza della Corte di Cassazione conferma in toto tale principio.
Il caso affrontato attiene ad una verifica eseguita nei confronti di una società, con relativo accertamento per relationem eseguito in capo alla stessa, corredato dagli accertamenti nei confronti dei soci per la presunta distribuzione degli utili.
I Supremi Giudici, nell’eseguire peraltro un interessante excursus sulla motivazione per relationem, che può dirsi in sostanza soddisfatta quando vi sia l’allegazione o la riproduzione del contenuto essenziale di “(…) quelle parti (oggetto, contenuto, destinatari), dell’atto o del documento che risultino necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato”, ribadiscono proprio la completa autonomia delle vicende dei soci e della società.
Ognuno, infatti, ha una propria posizione, un proprio accertamento ed un proprio contenzioso e le scelte eseguite da una delle parti non riverbera effetti sulle altre.
In particolare la Suprema Corte evidenzia che:
- gli atti di accertamento alla società e ai soci mantengono sempre la loro autonomia “(…) sicchè la richiesta di definizione della lite fatta da un unico socio, e non dalla società, non ha effetti, per così dire, cumulativi proprio in quanto la pretesa tributaria si esplica con una duplicità di avvisi, diretti a soggetti diversi (società e soci), e per imposte differenti”;
- peraltro lo stesso avviene anche nei casi inversi, in quanto “(…) la presunzione di attribuzione pro quota ai soci, nel corso dello stesso esercizio annuale, degli utili extra bilancio prodotti da società di capitali a ristretta base azionaria non viene meno in ipotesi di presentazione di domanda integrativa di condono da parte della società, essendo questa ed il socio titolari di posizioni fiscali distinte ed indipendenti”.
Le conclusioni raggiunte dalla Corte di Cassazione non possono che condividersi e devono essere tenute debitamente presenti in vista delle prossime definizioni.
Le scelte di una delle parti in causa non potranno mai condizionare/influenzare le determinazioni delle altre e nemmeno potranno incidere nelle future decisioni degli organi giudicanti in caso di continuazione del contenzioso.
È di tutta evidenza, infatti, che ognuna delle parti potrà fare delle opportune riflessioni di convenienza e decidere autonomamente se la prospettiva di definizione della lite (ed i costi connessi), sia allettante o meno.
Si pensi al caso del socio con un impatto reddituale contenuto ed un recupero Irpef non rilevante, che preferisce eliminare sanzioni e interessi e risolvere la questione in via definitiva; oppure si pensi di contro all’ipotesi di società in trasparenza, laddove la società ha magari recuperi irrisori in termini di Irap e Iva, mentre in capo ai soci i recuperi Irpef sono notevoli.
L’eventuale definizione “di convenienza” sarà ovviamente oltremodo logica, ma allo stesso tempo resta totalmente autonoma e non solo non ha effetti in capo alle altre posizioni, ma nemmeno diviene derimente nel prosieguo dei contenziosi di coloro che decideranno di non avvalersi della nuova disposizione.