La delega per i soci di cooperative agricole
di Alberto RocchiCome nelle altre forme societarie, anche nelle cooperative è ammesso che il socio possa attribuire la delega in caso di impedimento a partecipare a un’adunanza e volendo, tuttavia, esprimere il proprio voto sulle materie oggetto di discussione. In linea generale, occorre ricordare che la normativa codicistica in tema di cooperative è articolata su un “doppio livello”: trovano applicazione, infatti, le norme sulle Spa (o Srl, qualora ricorrano le condizioni di cui all’articolo 2519 cod. civ.) ma, in entrambi i casi, subordinatamente alla clausola di “compatibilità”. Ciò significa che le disposizioni generali societarie valgono solo quando compatibili con quelle specifiche delle cooperative. E tale “test di compatibilità” si esegue verificando, in primis, che la norma societaria (che si intende applicare) non trovi espressa disciplina confliggente nel corpus normativo delle coop, ma anche accertando che la medesima norma non sia indirettamente incompatibile con le specificità e le finalità dello strumento cooperativo. L’articolo 2539 cod. civ., contenuto nella regolamentazione propria delle cooperative, si occupa della rappresentanza in assemblea imponendo il limite massimo di 10 al numero di deleghe che ciascun socio può raccogliere per rappresentare gli altri. Esso va, quindi, letto in parallelo con la disposizione generale “societaria”, di cui all’articolo 2372, cod. civ., all’interno della quale occorrerà individuare le parti inapplicabili, in quanto contrastanti con la disposizione specifica che il Codice destina alle cooperative. Sicuramente continuerà ad avere valore il comma 5 sul divieto di rappresentanza per amministratori, membri del collegio sindacale e dipendenti della società e delle società da essa controllate. Questi soggetti, pertanto, non potranno mai ricevere deleghe dai soci.
Del tutto unico (e specifica per le cooperative) è, poi, il contenuto del comma 2, del medesimo articolo 2539 cod. civ. Esso prevede che i soci imprenditori individuali possono farsi rappresentare anche dal coniuge, dai parenti entro il terzo grado e dagli affini entro il secondo che collaborano nell’impresa. Qui il legislatore prevede una particolare estensione della delega anche a soggetti che, di fatto, sono estranei alla compagine societaria. Perché la norma possa, tuttavia, trovare applicazione, è necessario che:
- il socio abbia la qualifica di “imprenditore individuale”: ne consegue che il raggio di azione della norma esplica i suoi effetti sulle cooperative di imprenditori (o cooperative a connotazione consortile), tipicamente le cooperative di utenza, ma anche quelle di lavoro in cui il rapporto mutualistico si esplica attraverso prestazioni imprenditoriali. Sono tuttavia esclusi i lavoratori autonomi professionisti;
- il rappresentante sia un soggetto che “collabora nell’impresa”. L’ampiezza dell’espressione sembra voler ricomprendere tutti i parenti che, a qualsiasi titolo, contribuiscono all’attività d’impresa. Tuttavia, anche per omogeneità di terminologia, la norma pare limitarsi alle sole figure di collaborazione familiare tipiche previste dal Codice civile, in particolare dall’articolo 230-bis, cod. civ., con esclusione della fattispecie di cui all’articolo 230-ter, cod. civ.
Nelle cooperative agricole questa norma può trovare automatica applicazione, quando il socio partecipi in quanto imprenditore: ciò si verifica tipicamente nelle cooperative agricole di conferimento, dove lo scopo mutualistico può essere quello di ottenere il massimo pagamento del prodotto conferito, previa lavorazione o conservazione. Tuttavia, esiste nel mondo della cooperazione agricola una particolare norma che, andando a disciplinare il medesimo tema della rappresentanza in assemblea, si affianca in qualche modo a quella codicistica trovando, insieme ad essa, congiunta applicazione. Si tratta dell’articolo 7, L. 127/1971, il quale prevede che i soci coltivatori diretti, proprietari, assegnatari o affittuari che siano soci di cooperative agricole o di altre società o associazioni di produttori agricoli, possono delegare per iscritto un altro socio, oppure un parente fino al terzo grado o un affine fino al secondo grado, perché compartecipe nell’esercizio dell’impresa agricola, ad intervenire in assemblea, con diritto di partecipare alle votazioni e di essere eletto dall’assemblea alle cariche sociali, permanendo, in tal caso, nelle cariche stesse fino a scadenza.
La legge, ancorché datata, è ancora in vigore e può essere utilizzata sia quando prevista nello statuto, sia quando non espressamente richiamata o non dichiaratamente derogata. Vediamo in che cosa differisce rispetto al citato articolo 2539 cod. civ. destinato a tutti i tipi di coop.:
- innanzitutto, la platea dei deleganti “attivi”, non si esaurisce nell’ambito degli “imprenditori individuali”, ma comprende tutta una serie di possibili attori del mondo agricolo, racchiusi nella definizione di “coltivatori diretti”. Tale espressione non necessariamente si limita al novero degli iscritti nella relativa gestione previdenziale, abbracciando il più vasto ambito dei piccoli imprenditori agricoli;
- in secondo luogo, pur essendo la medesima l’estensione del grado parenterale che deve legare il delegante al delegato, l’espressione “compartecipe nell’esercizio dell’attività agricola” sostituisce quella più limitativa di “collaboratore”. Potranno, pertanto, essere comprese tutte le forma associative tipiche dell’agricoltura;
- ancora, il delegato potrà anche essere a sua volta votato come membro del Consiglio di amministrazione, possibilità questa non prevista dall’articolo 2539 cod. civ.;
- infine, l’articolo 7, L. 127/1971, si applica a tutte le “società o associazioni di imprenditori agricoli” (es. consorzi e società agricole di trasformazione, di cui all’articolo 1, comma 1094, L. 296/2006).