La detrazione Iva: scelta o obbligo?
di Clara PolletSimone DimitriLe molteplici novità del 2019 in ambito Iva – su tutte, fatturazione elettronica e trasmissione telematica dei corrispettivi – richiedono un raccordo tra “vecchie” regole del D.P.R. 633/1972 e nuove procedure interne, riviste “in ottica XML”. A tal proposito si propone un riepilogo delle regole che consentono la detrazione dell’Iva sugli acquisti.
La detrazione Iva non è un obbligo del contribuente ma un suo diritto e per esercitarlo deve provvedere all’annotazione del documento nel registro Iva acquisti. Quando l’Iva è indetraibile è possibile riportare la fattura direttamente in contabilità, senza passare dai registri Iva, indicando come costo il totale della fattura comprensivo dell’imposta indetraibile.
È anche possibile non richiedere la fattura ai commercianti al minuto quando si effettua un acquisto di beni o servizi che non formano oggetto dell’attività propria dell’impresa: sarà sufficiente ottenere un documento commerciale come giustificativo di spesa. La rinuncia alla detrazione Iva in presenza di fattura (con registrazione solo in contabilità) comporta però l’indeducibilità del costo relativo all’imposta non detratta.
Gli imprenditori che acquistano beni che formano oggetto dell’attività propria dell’impresa da commercianti al minuto sono invece obbligati a richiederla, ai sensi dell’articolo 22, comma 3, D.P.R. 633/1972.
Una volta in possesso della fattura di acquisto, la registrazione nel registro Iva acquisti è condizione necessaria per esercitare il diritto alla detrazione. A norma dell’articolo 25 D.P.R. 633/1972, il contribuente deve annotare in un apposito registro le fatture di acquisto e le bollette doganali, anteriormente alla liquidazione periodica nella quale è esercitato il diritto alla detrazione della relativa imposta e, comunque, entro il termine di presentazione della dichiarazione annuale relativa all’anno di ricezione della fattura e con riferimento al medesimo anno.
Non sussiste, invece, l’obbligo di annotare le fatture per operazioni con imposta indetraibile o le fatture ricevute contenenti somme non soggette, fuori campo o escluse Iva.
L’articolo 6, comma 7, D.P.R. 695/1996 prevede che “non sussiste, ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, l’obbligo di annotare le fatture e le bollette doganali relative ad acquisti e importazioni per i quali ricorrono le condizioni di indetraibilità dell’imposta stabilite dal secondo comma dell’articolo 19 del Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633”.
Il citato articolo 19 è stato modificato nel 1997 e ad oggi, l’indetraibilità oggettiva è prevista dall’articolo 19-bis1 D.P.R. 633/1972; di seguito sono riportati alcuni casi di applicazione:
- prestazioni di trasporto di persone (salvo che formino oggetto dell’attività propria dell’impresa);
- acquisto o importazione di alimenti e bevande, ad eccezione di quelli che formano oggetto dell’attività propria dell’impresa o di somministrazione in mense scolastiche, aziendali o interaziendali o mediante distributori automatici collocati nei locali dell’impresa;
- spese di rappresentanza, come definite ai fini delle imposte sul reddito, tranne quelle sostenute per l’acquisto di beni di costo unitario non superiore a 50 euro.
Come già anticipato, l’imprenditore non è obbligato a richiedere la fattura quando acquista, da commercianti al minuto, beni o servizi che non formano oggetto dell’attività di impresa (si pensi, ad esempio, alle spese generali o alle spese per prestazioni alberghiere e ristorazione). Tali spese dovranno in ogni caso essere documentate con il rilascio di un giustificativo: i soggetti obbligati, dal 1° luglio 2019, alla trasmissione telematica dei corrispettivi potranno anche utilizzare la procedura che l’Agenzia delle entrate metterà a disposizione entro il 29 luglio, per predisporre un documento commerciale e, al contempo, memorizzare e trasmettere i dati dei corrispettivi di ogni singola operazione effettuata.
Si ricorda che l’Iva assolta in relazione ai servizi alberghieri e di ristorazione, è detraibile secondo i principi generali, vale a dire nella misura in cui i servizi stessi risultino inerenti ad operazioni che consentono l’esercizio del diritto alla detrazione e siano documentati con fattura. La mancanza della fattura, pertanto, non consente l’esercizio della detrazione Iva mentre ai fini reddituali l’Iva rappresenta un costo deducibile solo nel caso in cui vi sia una limitazione oggettiva della detraibilità.
L’impresa potrebbe anche scegliere di non richiedere la fattura per le prestazioni alberghiere e di ristorazione sulla base di valutazioni di convenienza economico-gestionale nel caso in cui i costi da sostenere, per eseguire gli adempimenti Iva connessi alle fatture, siano superiori al vantaggio economico costituito dall’importo dell’Iva detraibile. In tal caso, posto che la scelta dell’operatore si prospetta come la soluzione economicamente più vantaggiosa, si può riconoscere all’Iva non detratta per mancanza della fattura la natura di “costo inerente” all’attività esercitata e, pertanto, la deducibilità ai fini delle imposte sui redditi.
Al riguardo, si richiamano i chiarimenti resi nella risoluzione 517/E/1980, in base ai quali in mancanza delle fatture relative alle prestazioni alberghiere e di ristorazione, l’imprenditore e il professionista possono dedurre dal reddito – come elemento aggiuntivo del costo sostenuto per l’acquisto delle prestazioni medesime – l’Iva non detratta, sempreché la stessa presenti la natura di “costo inerente” all’attività nel senso anzidetto. Diversamente, non può costituire un costo inerente all’attività esercitata e, conseguentemente, non è deducibile dal reddito l’Iva documentata mediante fattura e rimasta a carico dell’impresa ovvero del professionista a causa del mancato esercizio del diritto alla detrazione (circolare 25/E/2010).