La dichiarazione di fallimento blocca sequestro e confisca
di Luigi FerrajoliCon decreto del 03.02.2019, il Tribunale di Bergamo si è pronunciato in tema di efficacia del sequestro preventivo disposto ex articolo 12 bis D.Lgs 74/2000 relativamente a “somme di denaro esistenti su conti correnti nonché dei depositi titoli ed altre disponibilità finanziarie, oppure, alternativamente, dei beni mobili registrati e dei cespiti immobiliari (o di altri diritti reali economicamente valutabili)” di proprietà, tra gli altri, di società all’epoca già dichiarata fallita con sentenza.
Secondo quanto previsto dall’articolo 104 disp. att. c.p.p., il sequestro preventivo è eseguito:
a) sui mobili e sui crediti, secondo le forme prescritte dal codice di procedura civile per il pignoramento presso il debitore o presso il terzo in quanto applicabili;
b) sugli immobili o mobili registrati, con la trascrizione del provvedimento presso i competenti uffici;
c) sui beni aziendali organizzati per l’esercizio di un’impresa, oltre che con le modalità previste per i singoli beni sequestrati, con l’immissione in possesso dell’amministratore, con l’iscrizione del provvedimento nel registro delle imprese presso il quale è iscritta l’impresa;
d) sulle azioni e sulle quote sociali, con l’annotazione nei libri sociali e con l’iscrizione nel registro delle imprese;
e) sugli strumenti finanziari dematerializzati, ivi compresi i titoli del debito pubblico, con la registrazione nell’apposito conto tenuto dall’intermediario.
Nel caso che ci occupa, la Guardia di Finanza, alla presenza del curatore del fallimento della società interessata dal provvedimento, aveva proceduto al sequestro preventivo per equivalente dell’intero compendio aziendale, successivamente affidato all’amministratore giudiziario nominato dal Tribunale.
Tuttavia, nessuna azienda era stata rinvenuta nel patrimonio della società fallita, come comprovato dal verbale d’inventario depositato e successivamente integrato, da cui risultavano inventariati solo ed esclusivamente crediti potenziali della società fallita.
Sulla base di queste premesse, esaminando il merito della vicenda, il Tribunale ha ritenuto il provvedimento di sequestro, intervenuto successivamente alla declaratoria di fallimento, non opponibile alla procedura, sulla scorta delle considerazioni precedentemente espresse dalla Corte di Cassazione, Sez. II Pen., nella sentenza n. 45574 del 10.10.2018.
In tale pronuncia, il Giudice di legittimità aveva evidenziato che l’articolo 42 L.F. individua nella declaratoria di fallimento il momento in cui la curatela acquisisce la disponibilità dei beni del fallito.
Fino ad allora i beni devono senz’altro ritenersi nella disponibilità dell’indagato e, pertanto, assoggettabili alla cautela reale.
Con la sentenza di fallimento, viceversa, l’indagato perde la disponibilità dei beni a favore della curatela, ragion per cui sia il sequestro sia la successiva confisca non sono più possibili.
In particolare, la Suprema Corte ha avuto modo di osservare che “la disponibilità nel settore delle cautele reali penali esige quindi l’effettività, ovvero un reale potere di fatto sul bene che ne è l’oggetto (Sez. 3, n. 42469 del 12/07/2016 – dep. 07/10/2016, Amista, Rv. 268015). Invero, il vincolo apposto sui beni del fallito a seguito dell’apertura di una procedura concorsuale, se da un canto mira a spossessare il fallito o la società fallita dei beni che costituiscono la garanzia patrimoniale del ceto creditorio, dall’altro conferisce al curatore, che ne è insieme al Tribunale e al giudice delegato l’organo, il potere di gestione di tale patrimonio al fine di evitarne il depauperamento ovvero la dispersione e garantire al contempo la par condicio dei creditori, i quali, in virtù dell’ammissione al passivo, sono portatori di diritti alla conservazione dell’attivo, nella prospettiva della migliore soddisfazione dei loro crediti, che, pur convivendo fino alla vendita fallimentare con quelli di proprietà del fallito e con il vincolo derivante dal concorso, trovano così riconoscimento e tutela”.
Calato tale principio nel caso di specie, il Tribunale di Bergamo ha dunque ritenuto che la natura dell’attivo fallimentare, non contemplante alcuna azienda ma solo crediti recuperati dal curatore nel corso del procedimento, osti all’applicabilità dell’articolo 12 bis D.Lgs. 74/2000, che individua quale limite all’operatività della confisca l’indisponibilità dei beni in capo al reo e dunque alla persona giuridica rappresentata dall’autore del reato.