La difesa contro gli atti di recupero dei crediti ricerca e sviluppo
di Nicola FasanoL’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza, come noto, negli ultimi tempi stanno eseguendo numerosi controlli in merito alla fruizione del credito ricerca e sviluppo disciplinato dal D.L. 145/2013.
Nella fase istruttoria, l’Amministrazione finanziaria a volte procede con verifiche in loco, a volte con inviti mirati e dunque controlli “a tavolino”.
Il tema è di grande attualità, anche perché con la conversione del c.d. decreto “Aiuti-ter” (D.L. 144/2022 convertito con L. 175/2022) è stato ufficialmente rinviato al 31 ottobre 2023 il termine per presentare l’istanza di adesione alla specifica sanatoria di riversamento del credito di ricerca e sviluppo indebitamente compensato.
Tale procedura, anche se consente il riversamento del credito senza applicazione di sanzioni e interessi e la non punibilità del reato di indebita compensazione, presenta ancora molti lati oscuri (si attendono da tempo chiarimenti ufficiali da parte dell’Agenzia delle Entrate) su taluni aspetti operativi e, soprattutto, sulle condizioni di accesso.
Tuttavia, in questa sede preme evidenziare che la scelta dell’eventuale sanatoria, in ogni caso, deve essere ponderata molto attentamente, in quanto spesso le contestazioni dell’Amministrazione finanziaria appaiono fin troppo superficiali, come confermato da diverse sentenze di merito in materia.
Solitamente, viene contestata l’assenza di “novità” dei progetti agevolati e, più in generale, l’esclusione degli stessi dall’ambito oggettivo del credito così come delineato dall’articolo 2 del decreto attuativo (D.M. 27.05.2015) e il controllo si conclude con la notifica dell’atto di recupero del credito che l’Amministrazione finanziaria qualifica come “inesistente” (ai sensi dell’articolo 13, comma 5, D.Lgs. 471/1997), con conseguenze molto invasive per la società accertata, in quanto ciò comporta:
- la dilatazione degli ordinari termini di accertamento che diventano il 31.12 dell’ottavo anno successivo a quello di utilizzo del credito utilizzato in compensazione;
- l’irrogazione della sanzione dal 100% al 200% della misura del credito indebitamente compensato;
- il divieto di definizione agevolata delle sanzioni a un terzo;
- la denuncia penale per il reato di indebita compensazione di cui all’articolo 10-quater D.Lgs. 74/2000, al superamento della soglia annuale di 50.000 euro (nella versione attualmente vigente), punito più severamente rispetto all’indebita compensazione di un “semplice” credito “non spettante”.
Tali conclusioni, al di fuori di casi fraudolenti caratterizzati per esempio da progetti e spese fittizie, appaiono quanto mai opinabili se si considera l’estrema complessità tecnica della materia.
Tanto che si sta sviluppando e consolidando, quanto meno in ambito tributario, un condivisibile filone giurisprudenziale che richiede la necessità di un preventivo parere del Ministero dello Sviluppo Economico, in mancanza del quale l’atto di recupero deve essere annullato (ex multis, Commissione tributaria provinciale di La Spezia sentenza n. 276/01/2022).
Tale orientamento pare ancor più fondato se si pensa che, per la speculare materia dell’interpello finalizzato a conoscere se determinati progetti e attività possano rientrare nel novero di quelli oggetto di agevolazione, l’Agenzia delle Entrate ha chiaramente declinato qualsivoglia competenza, rinviando al MISE (circolare 13/E/2017).
Non mancano inoltre sentenze pro-contribuente (si veda per es. CTP Bologna 549/04/2022) che evidenziano come l’Amministrazione finanziaria abbia individuato il Manuale di Frascati (edizione 2015, tradotta in modo ufficiale con traduzione giurata in italiano solo a dicembre 2021) quale testo normativo di riferimento per identificare le attività agevolabili, sulla scorta di quanto chiarito, non a caso, dal MISE solo però con la circolare n. 59990 del 09.02.2018.
Le contestazioni, invece, anche “sfruttando” il termine di otto anni per l’accertamento, risalgono ad annualità ben più risalenti, in spregio del principio di affidamento sancito dall’articolo 10 dello Statuto del contribuente (L. 212/2000).
Ancora, non è affatto scontato che si tratti di crediti “inesistenti” (come ritiene l’amministrazione finanziaria) piuttosto che di crediti “non spettanti” (come deciso per es. dalla sentenza CTP Latina, 23.5.2022 n. 610/3/22) e, di conseguenza, non è affatto scontato che l’Agenzia delle Entrate possa invocare il più esteso termine di accertamento di otto anni in luogo di quelli ordinari e il relativo trattamento sanzionatorio più penalizzante (sanzioni dal 100 al 200% invece che del 30%).
Tutti questi elementi vanno sicuramente tenuti in considerazione al fine di valutare se possa valer la pena intraprendere il contenzioso, anche in considerazione dell’ammontare degli importi del credito recuperato dall’Amministrazione finanziaria, solitamente su più anni.