La disciplina delle perdite su crediti
di Vincenzo CristarellaApertasi la stagione bilanci, è tempo di valutare, tra le altre poste di bilancio, la consistenza dei crediti iscritti nell’attivo patrimoniale, segnalando tempestivamente eventuali situazioni di perdita per inesigibilità.
Due sono le norme di riferimento, nel panorama fiscale delle perdite su crediti, che introducono dei criteri per regolare le modalità con cui gli oneri derivanti dalla gestione dei crediti devono concorrere al reddito ai fini fiscali:
- l’articolo 101, comma 5, del TUIR, che indica i requisiti di natura probatoria al ricorrere dei quali sono deducibili, senza limiti, gli oneri derivanti dalla mancata esigibilità di crediti, o di parte di essi, divenuta “definitiva” (in assenza di condizioni di futuro realizzo del credito);
- l’articolo 106 del TUIR, che stabilisce una misura forfettaria di deducibilità degli oneri derivanti dalla inesigibilità dei crediti che, se pur probabile, si presenta ancora come “potenziale” (condizione solo probabile o temporanea).
La prima parte del comma 5 dell’articolo 101 del TUIR, secondo cui “le perdite su crediti sono deducibili se risultano da elementi certi e precisi” costituisce certamente la disposizione di riferimento.
Gli elementi «certi e precisi», che rappresentano la condizione che legittima la deduzione della perdita, sono quelli che normalmente portano a procedure esecutive infruttuose, ovvero ad una situazione di evidente non convenienza economica a proseguire nell’azione di recupero, vista l’esiguità del credito.
La discrezionalità del creditore nel rinunciare all’escussione del debitore tramite un processo di stima interno viene disciplinata dall’art. 33, c. 5, D.L. 22.6.2012, n. 83, conv. con modif. dalla L. 7.8.2012, n. 134, che interviene finalmente sul tema illuminando, con una chiarezza tanto invocata, i criteri da seguire.
Con il D.L. n. 83/2012 è stato sostanzialmente recepito, a livello normativo, un consolidato orientamento dell’Amministrazione Finanziaria che già prevedeva la deducibilità fiscale delle perdite su crediti commerciali di modesto importo effettuata senza la ricerca di rigorose prove formali.
Viene quindi stabilito che gli elementi certi e precisi sussistono in ogni caso al ricorrere delle seguenti condizioni:
- il credito sia di modesta entità (importo non superiore ad € 5.000 per le imprese di più rilevante dimensione di cui all’art. 27, c. 10, D.L. 29.11.2008, n. 185, conv. con modif. dalla L. 28.1.2009, n. 2, e non superiore ad € 2.500 per le altre imprese) e che sia decorso un periodo di sei mesi dalla scadenza del pagamento del credito stesso,
- il diritto alla riscossione sia prescritto (secondo l’art. 2946 del codice civile i diritti si estinguono per prescrizione, in via ordinaria, decorsi 10 anni. Solo in determinate ipotesi sono previsti termini più brevi),
- il debitore abbia concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti (ipotesi che si aggiunge alle procedure concorsuali “classiche” quali amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, concordato preventivo, fallimento e liquidazione coatta amministrativa),
- il credito risulti cancellato dal bilancio di un soggetto IAS adopter in dipendenza di eventi estintivi.
Soffermandoci sul primo punto, a quale valore (legale o contabile) occorre fare riferimento per verificare la soglia al di sotto della quale il credito è considerato di modesta entità?
E in caso di presenza di distinti crediti nei confronti dello stesso cliente che, considerati singolarmente, sarebbero al di sotto della soglia di € 2.500 o € 5.000, mentre, computati complessivamente, supererebbero tale soglia? E ancora, laddove le posizioni creditorie nascano in virtù di rapporti commerciali continuativi con la clientela?
Questi e molti altri chiarimenti giungono nell’agosto 2013 con la circolare 26/E, con la quale l’Agenzia delle Entrate fornisce una sorta di vademecum sul regime delle perdite su crediti puntualizzando che:
- l’importo rilevante è quello del singolo credito corrispondente a una distinta obbligazione posta in essere tra le parti;
- la rilevanza distinta dei crediti non vale nel caso in cui le singole posizioni si riferiscano a uno stesso rapporto contrattuale;
- i sei mesi possono essere scaduti non solo in tale esercizio, ma anche in quelli precedenti;
- la deduzione richiede il preventivo utilizzo del fondo stanziato ai sensi dell’articolo 106 c. 1 del TUIR sino a capienza dello stesso, nonché l’imputazione della perdita (o svalutazione) a conto economico;
- la modesta entità del credito va individuata considerando il valore nominale del credito e prescindendo da eventuali svalutazioni effettuate in sede contabile e fiscale;
- se in un determinato esercizio la perdita è stata rilevata a Conto Economico ma non sussistevano gli elementi certi e precisi per la deducibilità fiscale, la stessa può essere dedotta nel periodo d’imposta in cui si manifesteranno tali elementi certi e precisi;
- le nuove disposizioni si applichino anche ai crediti vantati nei confronti dei debitori esteri.
In merito poi alle perdite in presenza di procedure concorsuali, la circolare, nel richiamare l’estensione operata dal D.L. 83 agli accordi di ristrutturazione, chiarisce che, in caso di procedure concorsuali in generale, i requisiti di deducibilità risultano integrati “dalla data” di apertura della procedura che ricordiamo essere:
- la sentenza dichiarativa per il fallimento;
- il provvedimento per la liquidazione coatta amministrativa;
- il decreto di ammissione per il concordato preventivo e per la procedura di amministrazione straordinaria;
- il decreto di omologazione per l’accordo di ristrutturazione.
Ciò significa che non necessariamente la deduzione deve avvenire nell’esercizio di apertura. L’impresa potrà dunque dedurre la perdita, in tutto o in parte, anche in esercizi successivi valutando l’effettiva possibilità di recupero.
La circolare 26/E, inoltre, ricorda che la deduzione della perdita, oltre che da una valutazione interna dell’insolvenza del debitore, può scaturire da atti realizzativi ossia da eventi i cui effetti giuridici producono il realizzo o l’estinzione del credito quali le cessioni di credito, le transazioni con il debitore derivanti dalla sua insolvenza e gli atti di rinuncia, e che la definitività della perdita a fronte di questi atti deve essere comunque documentata dal contribuente, se non quando il credito è ceduto a banche o altri intermediari vigilati residenti in Italia o in paesi white list.
Tali ultime indicazioni contenute nella circolare 26/E possono tuttavia, oggi, essere rilette sulla base del recente articolo 1, comma 160, lettera b) della legge 147/2013 (legge di Stabilità per il 2014), che ha novellato l’articolo 101, comma 5, ultimo paragrafo del TUIR, prevedendo che la cancellazione dei crediti dal bilancio debba avvenire “in applicazione dei principi contabili”, estendendo così l’ambito di applicazione della deducibilità delle perdite derivanti dalla cancellazione dei crediti dal bilancio anche alle imprese che adottano i principi contabili nazionali.
Così facendo, già nei bilanci 2013, a prescindere dagli standard contabili adottati, in caso di cancellazione di un credito dallo stato patrimoniale, si potrà quindi dedurre la relativa perdita senza dover dimostrare la sussistenza dei requisiti della “certezza e precisione”: ciò a condizione che lo storno del credito sia stato posto in essere nel rispetto dei corretti principi contabili e senza intenti elusivi né il configurarsi di situazioni di non economicità dell’atto realizzativo.