La distribuzione di utili non dichiarati alla ristretta base societaria deve essere provata
di Leonardo Pietrobon
La Commissione Tributaria Regionale di Roma, con la sentenza 22.4.2014 n. 2614, afferma il principio in base al quale la distribuzione di utili non dichiarati alla ristretta base societaria deve essere concretamente provata dall’Agenzia delle Entrate e non semplicemente presunta.
La pronuncia dei giudici romani non rappresenta di certo una novità assoluta, bensì una conferma di un orientamento della giurisprudenza di merito degli ultimi mesi. La sentenza in commento, infatti, segue quanto già affermato dalla CTR di Firenze con la sentenza n.61/35/13 (sulla questione si veda Massimo Conigliaro, “La ristretta base sociale non è sufficiente per la presunzione di distribuzione di utili” in EC News del 3.7.2014).
Secondo la CTR di Roma, le affermazioni dell’Agenzia delle Entrate sono condivisibili in linea di principio, così come lo sono anche i criteri generali, tuttavia, sempre secondo quanto si legge nella sentenza in commento, vige sempre, anche per il processo tributario, la necessità di rispettare l’onere della prova. E a parere dei giudici di secondo grado “la parte che afferma un determinato principio o deduzione ha l’obbligo di fornire al giudice la prova di quanto sostenuto e non limitarsi ad una mera enunciazione di principio, seppur supportata da apprezzabili orientamenti giurisprudenziali”. Come dire, a parole tutti possono essere bravi ciò che conta sono i fatti…
La CTR di Roma conclude affermando che “la sola ristrettezza della base societaria, può costituire un ottimo elemento indiziario di occulta distribuzione di utili, il quale, però necessita del supporto di precisi e concordanti elementi probatori, del tutto assenti nel caso di specie”.
Le stesse conclusioni sono già state tratte dalla CTP di Napoli con la sentenza 15.3.2012, n. 145, la quale ha sostenuto proprio che l’Amministrazione finanziaria non può emettere un avviso di accertamento nei confronti dei soci, fondando la motivazione dell’atto sulla semplice appartenenza a detta società. Conseguentemente, poiché il contribuente aveva depositato, oltre alle memorie illustrative, estratti di c/c bancario, a fini di prova della mancata percezione degli emolumenti accertati, l’accertamento non ha superato il vaglio della giurisprudenza.
Peraltro, appare alquanto doveroso ricordare che, anche se ovvio, l’accertamento eseguito nei confronti dei soci di società di capitali a ristretta base sociale sulla c.d. presunzione di distribuzione degli utili extracontabili presuppone l’esecuzione di una rettifica dalla quale scaturiscano maggiori ricavi, siccome solo questi possono generare una distribuzione occulta di utili. Tale presunzione, quindi, non può operare ove l’avviso di accertamento sia fondato sul disconoscimento di costi in quanto non inerenti o indeducibili per altre ragioni, conclusioni a cui è pervenuta la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, con la sentenza 6.7.2009 n. 342.
Anche se ormai “datata” di particolare pregio risulta essere la pronuncia della Commissione Tributaria Regionale del Vento dell’11.1.1999 n. 175, secondo cui la presunzione di distribuzione ai soci dei maggiori utili non contabilizzati accertati a carico della società di capitali da essi partecipata basata sulla sola ristretta base societaria, o sul solo carattere familiare della società stessa, non è convincente, essendo ipotizzabili, con ugual grado di probabilità, conclusioni diverse, come la creazione di riserve occulte, la destinazione delle disponibilità ad altri usi, l’appropriazione degli utili da parte degli amministratori o la loro destinazione alla creazione di fondi occulti per il pagamento di poste passive non contabilizzate, la decurtazione degli utili stessi in ragione dei costi sostenuti per produrli.
Secondo quanto riportato in tale sentenza, l’argomento della ristretta base societaria non ha di per sé alcuna valenza probatoria nell’ambito dell’inferenza presuntiva volta a desumere l’avvenuta distribuzione ai soci dei maggiori utili non contabilizzati accertati a carico della società di capitali. Così come il carattere “familiare” della società stessa e quindi la “complicità” fra i soci non rappresenta una valida giustificazione, in quanto tale condizione potrebbe ravvisarsi in ugual misura se non addirittura superiore anche in società con larga base societaria o con soci non legati da vincoli familiari, governate da ridotte minoranze grazie alla polverizzazione del capitale sociale ed accordi parasociali.
Sulla base dei concetti di cui sopra, appare evidente concludere che l’applicazione della ristretta base azionaria può rappresentare, in alcuni casi, se non supportata da elementi certi e precisi, una sorta di “abuso” a cui l’Amministrazione finanziaria ricorre in sede di accertamento.