La fase pre-liquidatoria nell’ottica di integrità del patrimonio
di Chiara RizzatoSandro Cerato - Direttore Scientifico del Centro Studi TributariDal momento in cui si verifica una causa di scioglimento, gli amministratori conservano il potere di gestire la società e la legale rappresentanza, rimanendo in carica fino all’iscrizione dell’atto di nomina dei liquidatori nel Registro delle imprese, a norma del comma 3 dell’articolo 2487 bis del codice civile. Il potere che viene agli stessi attribuito si configura ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale. Se l’organo gestorio dovesse compiere atti od omissioni in violazione di quanto precedentemente stabilito, verrà allo stesso imputata la responsabilità dei danni arrecati alla società, ai soci, ai creditori sociali ed ai terzi. Proprio per questo motivo, si evince come questo lasso temporale sia per gli amministratori di particolare importanza, poiché, sebbene gli stessi non si occupino della mera attività di liquidazione, sono comunque tenuti ad intervenire compiendo atti propedeutici alla successiva fase liquidatoria.
Tutto questo perché, al verificarsi di una delle cause di scioglimento, l’attenzione dei soci, come denota l’OIC 5, non è più rivolta ad incrementare il valore del patrimonio della società, ma piuttosto a monetizzare nel minor tempo possibile, salvaguardando inoltre gli interessi dei creditori. Il documento citato afferma: “vi è dunque, una trasformazione sul piano economico del capitale investito nell’impresa: esso non è più uno strumento di produzione del reddito, bensì un semplice coacervo di beni destinato alla conversione in danaro liquido, al pagamento dei creditori ed alla ripartizione ai soci dell’attivo netto residuo”.
Pertanto quel potere gestorio, che prima della causa di scioglimento si considerava libero da vincoli particolari, ora invece risulta vincolato alla conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale.
Le attività cagionevoli di responsabilità si configurano in operazioni connotate dalla presenza di un nuovo rischio di impresa, come cita il Tribunale di Milano con la sentenza del 01/04/2011: “ai fini dell’affermazione della responsabilità degli amministratori per divieto di compimento di nuove operazioni ai sensi del vigente articolo 2486 cod. civ. , non è sufficiente allegare un aggravamento della perdita patrimoniale, ma è necessario dimostrare che la condotta gestoria successiva a uno stato di scioglimento di fatto è stata illecita, provando che si è trattato di una attività non orientata alla conservazione del valore del patrimonio sociale, bensì orientata al proseguimento dell’attività tipica con conseguente assunzione di nuovo rischio di impresa”. Lo stesso Tribunale di Milano, con sentenza del 23/09/2015, afferma che il danno da illecita prosecuzione dell’attività sociale in presenza di una causa di scioglimento consiste, in linea teorica, nell’aggravamento della “perdita netta” ovvero, in quell’erosione del “patrimonio netto” che la prosecuzione dell’attività caratteristica (non meramente conservativa del valore e dell’integrità del patrimonio ex articolo 2486 cod. civ.) abbia eventualmente prodotto. Rientra, nella fattispecie contraria all’articolo 2486 del codice civile, anche il caso prospettato nella massima del Tribunale di Venezia del 09/06/2016, ove la mancata convocazione dell’assemblea dei soci a seguito della perdita del capitale sociale, per deliberare la riduzione del capitale sociale ed il contemporaneo aumento del medesimo ad un importo non inferiore al limite legale, ovvero la messa in liquidazione della società, con continuazione dell’attività sociale per anni dal verificarsi della causa di scioglimento, finalizzata al conseguimento di utili con costi però sempre superiori ai ricavi, ha provocato ulteriori perdite a danno del patrimonio sociale e dei terzi. A nostro avviso risulta rilevante la sentenza del Tribunale di Lecce del 27/12/2011, nella quale si stabilisce che l’aggravamento del dissesto conseguente a “nuove operazioni”, vietate ex articolo 2486 cod. civ., ove al momento del verificarsi di una causa di scioglimento vi sia già una situazione di sbilancio patrimoniale negativo, non costituisce danno risarcibile per i creditori sociali.
A prescindere dalle disposizioni contenute nell’articolo 2486 del codice civile, nel delineare le possibili attività che impediscono la conservazione dell’integrità del valore sociale, non si può non tener conto dell’obbligo che gli amministratori detengono in ordine all’adempimento dei doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze.
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