La fattura elettronica per l’estrazione dei beni dal deposito Iva
di Marco PeiroloLe autofatture emesse per l’estrazione dei beni da un deposito Iva possono, secondo la libera determinazione dei soggetti proprietari dei beni, essere analogiche o elettroniche extra-SdI, con obbligo di fattura elettronica per mezzo del SdI nel solo caso in cui i beni estratti dai soggetti Iva italiani, durante la permanenza nel deposito, siano stati oggetto di prestazioni di servizi, territorialmente rilevanti in Italia, che ne hanno modificato il valore.
Il chiarimento è stato reso dall’Agenzia delle Entrate nella risposta all’istanza di interpello n. 142 del 14 maggio 2019 e deve essere coordinato, per completezza, con quello reso nella risposta all’istanza di interpello n. 104 del 9 aprile 2019, relativo alla diversa ipotesi in cui i soggetti estrattori non siano stabiliti in Italia, ma soltanto ivi identificati direttamente, ex articolo 35-ter D.P.R. 633/1972 o per mezzo di un rappresentante fiscale.
Innanzi tutto, è opportuno rammentare che, anche dopo le modifiche operate dal D.L. 193/2016, aventi effetto dal 1° aprile 2017, l’articolo 50-bis, comma 6, D.L. 331/1993 prevede che “l’estrazione dei beni da un deposito Iva ai fini della loro utilizzazione o in esecuzione di atti di commercializzazione nello Stato può essere effettuata solo da soggetti passivi d’imposta agli effetti dell’Iva e comporta il pagamento dell’imposta”.
Secondo l’interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate con la circolare 12/E/2015, ne discende:
- da un lato, che “possono procedere all’estrazione dei beni dal deposito solo i soggetti passivi d’imposta, identificati in Italia, direttamente o tramite rappresentante fiscale o i soggetti stabiliti in Italia [anche] per il tramite di una stabile organizzazione”;
- dall’altro, che “l’operazione comporta l’assolvimento dell’imposta da parte del soggetto proprietario dei beni che procede in proprio o tramite terzi all’estrazione secondo le modalità stabilite dall’articolo 17, secondo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972 mediante reverse charge (…)”.
Tuttavia, dal 1° aprile 2017, ad eccezione dei beni introdotti nel deposito in forza di un acquisto intra-unionale e di immissione in libera pratica, per i quali continua ad essere applicabile il meccanismo del reverse charge, l’imposta resta dovuta dal soggetto che procede all’estrazione, ma è versata in suo nome e per suo conto dal gestore del deposito, nella specie con Modello F24 e senza possibilità di compensazione sia “orizzontale” che “verticale” (risoluzione AdE 55/E/2017).
Le modalità di identificazione del soggetto estrattore devono essere coordinate con le regole in materia di fatturazione elettronica.
È noto che la decisione di esecuzione n. 2018/593/UE del 16 aprile 2018 ha autorizzato l’Italia ad applicare misure speciali di deroga al fine di consentire l’applicazione generalizzata, per obbligo, della fatturazione elettronica sul territorio nazionale. In particolare, l’Italia è stata autorizzata ad accettare come fatture documenti o messaggi solo in formato elettronico se sono emessi da soggetti passivi stabiliti nel territorio italiano, diversi da soggetti che beneficiano della franchigia delle piccole imprese, nonché a disporre che l’uso delle fatture elettroniche emesse da soggetti stabiliti nel territorio italiano non sia subordinato all’accordo del destinatario.
Tale autorizzazione è stata pienamente recepita dal legislatore, in ultimo espungendo dall’articolo 1, comma 3, D.Lgs. 127/2015, il riferimento ai soggetti identificati, che non sono tenuti alla fatturazione elettronica, fermo restando che le operazioni di cui sono parte possono essere facoltativamente emesse in formato elettronico tramite il SdI.
Ne discende, come precisato dalla risposta all’interpello n. 104/2019, che la posizione Iva italiana del soggetto estrattore non stabilito in Italia può procedere all’estrazione dei beni dal deposito Iva senza obbligo di emissione della autofattura elettronica per mezzo del SdI.
Se, invece, il soggetto estrattore è stabilito in Italia, la risoluzione 142/E/2019, confermando quanto già indicato nella consulenza giuridica n. 956-3/2019 dell’11 gennaio 2019, ha chiarito che l’autofattura elettronica tramite SdI è obbligatoria nel solo caso in cui i beni estratti, durante la permanenza nel deposito, siano stati oggetto di prestazioni di servizi, territorialmente rilevanti in Italia, che ne hanno modificato il valore.
Sembra ragionevole ritenere che le stesse indicazioni valgano nel caso in cui l’estrazione abbia per oggetto beni precedentemente introdotti in deposito in dipendenza di una cessione interna, nel qual caso l’articolo 50-bis, comma 6, D.L. 331/1993 prevede che l’Iva sia versata dal gestore del deposito in nome e per conto del soggetto estrattore.
In questa ipotesi, per la quale è prevista comunque l’emissione dell’autofattura, da annotare nel registro degli acquisti dell’autofattura unitamente agli estremi del versamento dell’imposta, è dato ritenere che il formato elettronico del documento con invio tramite SdI sia obbligatorio se i beni estratti, durante la permanenza nel deposito, siano stati oggetto di prestazioni di servizi, territorialmente rilevanti in Italia, che ne hanno modificato il valore.