La fiscalità degli NFT nel “metaverso”
di Francesco Paolo FabbriPur in mancanza di una disciplina fiscale specificamente applicabile agli NFT (“non fungible token”, ossia asset digitali che incorporano diritti su beni anche reali, come tipicamente accade con le opere d’arte) e in assenza altresì, alla data odierna, di prassi amministrativa in proposito – la quale si è invece pronunciata ampiamente sulle valute virtuali – non è presumibilmente possibile affermare che le operazioni sugli stessi NFT vadano escluse da ogni tassazione.
Va infatti tenuto in considerazione che il “metaverso”, ossia la realtà virtuale/aumentata basata sulla tecnologia di tipo informatico, può essere assunto come una sorta di luogo o dimensione nella quale i soggetti possono operare, mediante i propri “avatar” (rappresentazioni nonché proiezioni digitali degli stessi individui), ponendo in essere le medesime attività ordinariamente effettuabili nella realtà fisica.
Da ciò consegue che, qualora un determinato operatore dovesse svolgere un’attività di scambio di NFT, in particolare caratterizzata dall’intento speculativo, la questione della possibile tassazione del reddito (eventualmente) prodotto ad esito di tale attività non risulterebbe automaticamente eludibile.
Allo stesso modo, possono essere considerate fiscalmente rilevanti anche le operazioni di locazione degli NFT, che, al pari di quelle di “trading” in senso stretto, avvengono normalmente attraverso i c.d. “smart contracts”, accordi basati sulla tecnologia blockchain che hanno ad oggetto i token non fungibili in esame e che garantiscono l’immodificabilità delle operazioni sottostanti.
Fatto questo inquadramento, e sempre tenendo a mente quanto visto in precedenza circa l’assenza di una normativa ad hoc sulle operazioni riguardanti gli NFT, pare di potersi affermare che, laddove simili asset vengono acquistati non a fini privati – laddove vi è invece una finalità essenzialmente di detenzione degli stessi – bensì a scopo di investimento per la successiva rivendita, oppure utilizzati direttamente come mezzo di pagamento per i fornitori che operano sulla blockchain, troveranno applicazione le normali regole che sovrintendono all’esercizio dell’attività d’impresa o professionale, sia ai fini reddituali che dell’imposta sul valore aggiunto: nello specifico, quindi, gli articoli 54 e 55 Tuir e il D.P.R. 633/1972 nelle sue varie declinazioni casistiche, al pari dei relativi adempimenti che contraddistinguono l’esercizio abituale dell’attività economica (apertura della Partita Iva, tenuta della contabilità eccetera).
Dovrà quindi ritenersi prodotto un reddito in tutti i casi in cui un determinato NFT sia stato compravenduto generando una plusvalenza, con un differenziale positivo tra il relativo valore di produzione o costo di acquisto e il corrispettivo derivante dalla vendita.
La stessa circostanza potrebbe inoltre assumere rilievo ai fini fiscali anche qualora l’esercizio dell’attività, in ipotesi di scambio di NFT, dovesse avvenire occasionalmente, dando luogo non a redditi di lavoro autonomo o d’impresa bensì a “redditi diversi”, che vanno assoggettati ad imposizione tramite la compilazione del quadro RL della dichiarazione redditi.
Una questione di particolare interesse relativamente agli NFT è poi quella relativa alla giurisdizione di riferimento ai fini della tassazione; quanto visto in precedenza è infatti senz’altro valido solamente qualora si assuma che il Paese che ha la potestà impositiva su quei redditi – peraltro imponibili proprio in virtù della propria normativa tributaria – sia l’Italia. Diversamente, va da sé che non vi sarà alcun diritto dello Stato ad assoggettare ad imposizione la ricchezza eventualmente prodotta dalle operazioni in NFT.
Il tema della giurisdizione è centrale in quanto risulta a tutti evidente che il “metaverso”, in sé considerato, non può essere inquadrato in un territorio fisico, trattandosi infatti, come visto in precedenza, di uno spazio virtuale di natura informatica, quindi non collegabile automaticamente ad uno Stato sovrano; circostanza da cui deriva, a sua volta, l’impossibilità di applicare le usuali regole di territorialità che governano le persone fisiche (articolo 2 Tuir) o i soggetti diversi, tra cui le società (articolo 73 Tuir).
Per questo motivo non è mancato chi ha sostenuto che, ai fini dell’individuazione del Paese titolato ad assoggettare i redditi in esame, andassero utilizzati criteri quali possono essere il luogo in cui è situato il server da cui origina il programma (software) che dà luogo al “metaverso” oppure quello in cui risiede il soggetto che lo ha creato.
Quella appena vista è forse la problematica di maggiore rilievo relativamente alle operazioni in NFT nel “metaverso”, anche se non l’unica.
Occorre infatti tenere presente che, nella dimensione tecnologia in discussione, le operazioni (anche su NFT) avvengono ordinariamente utilizzando valute virtuali, con cui vengono per l’appunto acquistati di beni e servizi nel “metaverso”.
Valute virtuali che sono a loro volta acquistate con valuta FIAT, ossia denaro avente corso legale, nella quale potrebbero poi essere riconvertiti i proventi richiamati in precedenza che derivano dalle operazioni in NFT.
Ebbene, pur in presenza della realizzazione di questi ultimi redditi, non è mancato chi ha sostenuto che, risultando il “metaverso” uno spazio contingentato – e, nello specifico, impermeabile rispetto alla realtà fisica – non vi è alcun incremento della capacità contributiva per le fattispecie che, ordinariamente, darebbero luogo a redditi imponibili.
Quanto detto, a meno che la ricchezza prodotta non venga convertita in valuta legale, potendosi quindi considerare effettivamente realizzata.
In sostanza, secondo simile ricostruzione una plusvalenza realizzata con scambio tra un NFT e una valuta virtuale, così come in caso di permuta tra token non fungibili, non andrebbe tassata in quanto non vi sarebbe alcun realizzo di materia imponibile.
Si tratta, in ogni caso, di un’interpretazione quantomeno aleatoria, in particolare in virtù del contenuto della risposta a interpello n. 788 del 24.11.2021, nella quale, pur trattando di criptovalute e non di NFT, l’Agenzia delle Entrate ha avuto modo di sostenere che anche il cambio tra valute virtuali di diverso tipo rappresenta un’operazione realizzativa (quindi da assoggettare a tassazione).