La fiscalità dei redditi derivanti da attività di staking di criptovalute
di Alessandra FabbriLo scorso agosto l’Agenzia delle Entrate ha reso pubbliche due risposte a interpello, la n. 433 del 24.08.2022 e n. 437 del 26.08.2022, afferenti il tema della tassazione dei redditi riconducibili all’attività di staking e la loro eventuale indicazione all’interno del modello Redditi PF.
Volendo rendere edotta un’ampia platea di lettori circa l’orizzonte argomentativo su cui l’Amministrazione finanziaria ha voluto intervenire, è possibile affermare che con il termine “staking” si fa riferimento a quel periodo di tempo, retribuito anch’esso in criptovalute, nel quale le criptovalute possedute dall’investitore nel proprio wallet vengono rese dalla piattaforma “indisponibili”, poiché utilizzate come stake nell’esecuzione delle operazioni di validazione/convalida necessarie alla generazione di nuovi blocchi.
Con il primo documento di prassi citato, la risposta a interpello n. 433, l’Amministrazione finanziaria, in antitesi con quanto proposto dall’istante, ha ricondotto la suddetta remunerazione derivante dall’attività di “staking” alla disciplina fiscale contenuta nell’articolo 44, comma 1, lettera h), del Tuir, ovvero alla tassazione applicata ai redditi di capitale, ricomprendendo la disposizione normativa introdotta con il D.Lgs. 461/1997 non soltanto “… gli interessi e gli altri proventi derivanti da altri rapporti aventi per oggetto l’impiego del capitale…” aventi natura determinata, predeterminabile e variabile, ma altresì, come affermato nella circolare 165/E/1998, i “… rapporti che non siano a prestazioni corrispettive ovvero nei quali il nesso di corrispettività non intercorra tra la concessione in godimento del capitale ed il reddito conseguito…”.
A quanto argomentato dall’Agenzia consegue, pertanto, che “…possono essere attratti ad imposizione sulla base di tale disposizione non soltanto quei proventi che sono giuridicamente qualificabili come frutti civili ai sensi dell’articolo 820 del codice civile e cioè quei proventi che si conseguono come corrispettivo del godimento che altri abbia di un capitale, ma anche tutti quei proventi che trovano fonte in un rapporto che presenti come funzione obiettiva quella di consentire un impiego del capitale…”, ovvero le criptovalute assegnate in premio a seguito dell’attività di staking.
Dacché, rientrando il provento in suddetta categoria reddituale esso viene a essere assoggettato, ai sensi dell’articolo 26, comma 5, D.P.R. 600/1973, a una ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 26%, che avendo carattere di definitività, non prevede per il detentore-contribuente ulteriori obblighi di inserimento all’interno della dichiarazione annuale dei redditi.
Per quanto attiene, poi, agli obblighi di monitoraggio fiscale ex articolo 4 D.L. 167/1990 l’Amministrazione finanziaria, confermando il principio fondamentale in base al quale gli stessi si legano alla localizzazione effettiva dell’intermediario, richiamando il contenuto della circolare 38/2013 ed evidenziando la peculiarità del caso esposto dall’istante, ovvero la detenzione del wallet da parte di una persona fisica non imprenditrice fiscalmente residente in Italia presso una società di intermediazione italiana, ha ritenuto che al contribuente non sia da addebitare né la compilazione del quadro RW e nemmeno al versamento dell’Ivafe.
Se quanto sin qui chiarito dall’Agenzia delle Entrate evidenziava una lucidità e una chiarezza per certi versi sorprendente e lodevole da parte dell’Amministrazione finanziaria, pensiero similare non è esprimibile in relazione a quanto accaduto un paio di giorni più tardi, il 26.08.2022, quando l’Agenzia delle Entrate, tornando sul tema attraverso la pubblicazione della risposta a interpello n. 437, pur confermando in parte le “linee guida” palesate con il documento di prassi n. 433, ha ritenuto di dover rettificare parte di quanto da essa stessa precedentemente affermato e, condivisibilmente, motivato circa il carattere dell’imposizione applicata ai proventi derivanti da attività di staking.
Nello specifico essa, pur ribadendo che a suddetti proventi accreditati da una società italiana nel wallet di un investitore-persona fisica fiscalmente residente in Italia deve essere applicato un prelievo “alla fonte” pari al 26 per cento, ai sensi dell’articolo 26, comma 5, D.P.R. 600/1973, ritiene che lo stesso debba avere natura di acconto sulle imposte complessive dovute e non, invece, di definitività, comportando consequenzialmente per il contribuente l’obbligo di indicazione nella Sezione I-A “Redditi di capitale” del quadro RL del Modello Redditi.
Sembra inevitabile evidenziare che l’Amministrazione finanziaria pronunciandosi in tale maniera erroneamente abbia fiscalmente assimilato non residenti e residenti, estendendo a questi ultimi la medesima tipologia impositiva applicata ai soggetti che investono per il tramite di società di intermediazione fiscalmente localizzate all’estero, posizione che senza dubbio necessiterà di un ulteriore chiarimento.