La fiscalità delle Comunità Energetiche: che la rivoluzione non mangi i suoi figli
di Silvio RivettiLe regole che consentiranno l’ingresso delle Comunità energetiche nel nostro ordinamento (e nella nostra vita quotidiana) si vanno lentamente allineando davanti al canapo di partenza. In particolare, si è assistito al recepimento nella normativa nazionale della Direttiva europea RED II in materia di energie rinnovabili (Direttiva 2018/2001-UE), dapprima in via sperimentale e transitoria con l’articolo 42-bis, D.L. 162/2019 e, poi, in via definitiva, con le norme di attuazione del D.Lgs. 199/2021; e si è assistito, altresì, all’entrata in vigore, in data 24.1.2024, del fondamentale Decreto del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica n. 414/2023, di disciplina degli incentivi. Si è, ora, in attesa dell’approvazione delle regole operative da parte dello stesso Ministero, nei 30 giorni dall’entrata in vigore del decreto (regole da proporsi a cura del GSE, il Gestore dei Servizi Energetici, previa verifica dell’ARERA, l’Autorità di Regolazione per Energia, Reti e Ambiente); nonché dell’attivazione, da parte del GSE e nei successivi 45 giorni dall’approvazione delle regole operative, dei portali telematici, attraverso i quali sarà possibile presentare le richieste di costituzione delle Comunità energetiche. In tutto questo, pochi hanno, tuttavia, rilevato come le tante novità tecniche e giuridiche, pronte all’attuazione concreta, debbano fare i conti con letture fiscali non tutte aggiornate.
Per poter inquadrare correttamente i profili fiscali delle Comunità energetiche, è necessario aver preliminarmente chiaro il quadro dei benefici economici che a tali soggetti competono. Rilevano, in particolare, tre voci d’interesse:
- in primo luogo, la “Tariffa incentivante” riconosciuta dal GSE per ogni Kwh di energia condivisa, per 20 anni dalla data di entrata in esercizio di ciascun impianto di produzione attivato nel contesto della Comunità energetica, ognuno dei quali può operare fino a una potenza massima nominale di 1 MW;
- in secondo luogo, il “Corrispettivo unitario”, che si traduce in una riduzione dei costi in bolletta (quale “restituzione di componenti tariffarie”), in conseguenza del minor utilizzo delle reti del sistema elettrico;
- in terzo luogo, il “Ritiro dell’energia” immessa in rete, se il servizio è richiesto contestualmente all’accesso al servizio di valorizzazione e incentivazione dell’energia, con cessione al GSE dell’energia e il pagamento di un prezzo riconosciuto.
In questo quadro, punto di riferimento, ai fini della corretta individuazione della disciplina fiscale applicabile alla materia, è ancora la risposta a interpello n. 37/E/2022, resa al GSE in versione di soggetto istante con riguardo, tuttavia, alla prima norma di recepimento della normativa unionale, ossia l’articolo 42-bis, D.L. 162/2019. In particolare, se per tale atto di prassi le prime due voci di beneficio sopra indicate, la Tariffa premio e il Ristoro delle componenti tariffarie, tendenzialmente non assumono rilievo ai fini delle imposte dirette, se la Comunità opera come soggetto non commerciale; né assumono rilievo ai fini Iva, per carenza del requisito oggettivo, ai sensi dell’articolo 2, comma 3, lettera a) D.P.R. 633/1972 (per non costituire corrispettivi dovuti a fronte di una prestazione sinallagmatica, bensì contributi volti rispettivamente a remunerare l’investimento negli impianti e a premiare l’autoconsumo in termini di “scarico” delle reti); ben diverso discorso si pone con riferimento alla terza voce di beneficio, quella dei corrispettivi derivanti dalla vendita dell’energia. Per la risposta all’interpello citata, infatti, il corrispettivo per il “ritiro dedicato” dell’energia ex articolo 13, comma 3, D.Lgs. 387/2003, può assumere rilevanza ai fini Iva, laddove la potenza complessiva degli impianti risulti superiore a 200 kW, dovendosi individuare in un tale soglia quella rilevante ai fini dello svolgimento di attività commerciale. A questo proposito, è l’articolo 119, comma 16-bis, D.L. 34/2020, a prevedere che solo l’esercizio di impianti fino a 200 kW, da parte di Comunità energetiche costituite in forma di enti non commerciali ex articolo 42-bis, D.L. 162/2019, non costituisce svolgimento di attività commerciale abituale. La soglia dei 200 kW per impianto rileva, poi, anche ai fini delle imposte dirette: perché, per l’interpello, se l’attività della Comunità attiene a impianti di potenza cumulata complessiva superiore a 200 kW, allora tutte e tre le voci sopra indicate costituiscono reddito d’impresa. Appare evidente l’esigenza di coordinare, dal punto di vista dell’interpretazione dell’assetto tributario applicabile, il precedente valore soglia dei 200 kW per impianto con il suo innalzamento a 1 MW, come previsto dall’articolo 5, comma 4, D.Lgs. 199/2021 e come ribadito all’articolo 3, comma 2, lettera a), D.M. MASE n. 414/2023: per evitare che una lettura non aggiornata del quadro normativo possa spingere l’Agenzia delle entrate a contestare lo svolgimento di un’attività d’impresa in relazione a quella che, a partire da domani, costituirà, invece, l’ordinaria e tutt’altro che commerciale attività delle Comunità energetiche, in relazione a complessi di impianti produttivi di ben più ampie dimensioni rispetto al singolo impianto di 200 kW. In particolare, sarebbe utile che il Fisco prendesse atto che la soglia dei 200 kW per impianto rileva solo per le Comunità energetiche costituite ai sensi dell’articolo 42-bis, D.L. 162/2019: norma transitoria, di fatto superata dalle disposizioni del D.Lgs. 199/2021.