La formale iscrizione all’AIRE del soggetto non salva dal reato
di Marco BargagliIl nostro ordinamento giuridico contiene specifiche disposizioni che consentono di individuare la residenza fiscale della persona fisica espressamente contenute nell’articolo 2, comma 2, Tuir.
Infatti, il soggetto passivo d’imposta deve presentare la dichiarazione dei redditi in Italia se, per la maggior parte del periodo d’imposta:
- è iscritto nell’anagrafe della popolazione residente;
- ha il domicilio nel territorio dello Stato, definito come la sede principale degli affari e interessi (articolo 43, comma 1, cod. civ.);
- mantiene la residenza nel territorio dello Stato, identificabile come la dimora abituale del soggetto (articolo 43, comma 2, cod. civ.).
Con l’articolo 1, comma 83, lettera a), L. 244/2007, il legislatore ha introdotto nel testo unico delle imposte sui redditi una presunzione legale relativa che pone in capo al contribuente l’onere di dimostrare di essersi realmente stabilito all’estero, qualora lo stesso si sia trasferito in un paradiso fiscale.
In particolare, per espressa disposizione normativa (articolo 2, comma 2-bis, Tuir) si considerano residenti in Italia, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori a fiscalità privilegiata.
Quindi, il cittadino italiano che vuole emigrare all’estero e lì stabilire la propria residenza fiscale, deve anzitutto provvedere alla cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente del suo comune di residenza iscrivendosi successivamente all’AIRE (anagrafe italiani residenti all’estero).
In merito corre l’obbligo di evidenziare che, in linea con i chiarimenti desumibili dalla prassi ministeriale (cfr. circolare 304/1997 – Ministero delle Finanze Direzione centrale accertamento e programmazione), la formale iscrizione all’AIRE non è un elemento sufficiente a dimostrare l’effettivo trasferimento oltrefrontiera dovendosi valutare, nel loro complesso, ulteriori elementi di effettività sostanziale.
Nello specifico, il citato documento di prassi ha specificato che: “La cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente e l’iscrizione nell’anagrafe degli italiani residenti all’estero non costituisce elemento determinante per escludere il domicilio o la residenza nello stato ben potendo questi ultimi essere desunti con ogni mezzo di prova anche in contrasto con le risultanze dei registri anagrafici. Da ciò discende che l’aver stabilito il domicilio civilistico in Italia ovvero l’aver fissato la propria residenza nel territorio dello Stato sono condizioni sufficienti per l’integrazione della fattispecie di residenza fiscale, indipendentemente dall’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente”.
In tema di residenza fiscale dei cittadini AIRE, sono riportate precise istruzioni anche nel Manuale operativo in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali, circolare n. 1/2018 del Comando Generale della Guardia di Finanza (cfr. volume III – parte V – capitolo 11 “Il contrasto all’evasione e alle frodi fiscali di rilievo internazionali”, pag. 350 e ss.).
Il citato manuale operativo chiarisce che la cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente e la contestuale iscrizione all’AIRE non costituiscono elementi determinanti per escludere il domicilio o la residenza nello Stato, ben potendo questi ultimi essere desunti con ogni mezzo di prova, anche in contrasto con le risultanze dei registri anagrafici.
In merito, prosegue il citato documento, “l’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente rappresenta, da sola, presupposto per essere considerati residenti in Italia, quella nell’AIRE costituisce condizione necessaria, ma non sufficiente per essere considerati non residenti, dovendo comunque farsi riferimento all’articolo 43 del codice civile, che definisce il domicilio di una persona come il luogo in cui essa ha stabilito la sede dei suoi affari e interessi e la residenza come il luogo in cui la persona ha la dimora abituale (…) tali nozioni sono alternativamente rilevanti, nel senso che, per stabilire la residenza fiscale, è sufficiente la ricorrenza di una soltanto di esse”.
Una volta delineati i profili fiscali in tema di esterovestizione occorre tenere conto che, in ipotesi di riqualificazione della residenza fiscale della persona fisica, potrebbero anche scattare i correlati profili penali tributari, in linea con le disposizioni sancite dall’articolo 5 D.Lgs. 74/2000 rubricato “omessa dichiarazione”, a mente del quale viene punito con la reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni chiunque al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte, quando l’imposta evasa é superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte ad euro cinquantamila.
Sullo specifico tema è recentemente intervenuta la suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13114 del 21 marzo 2018, la quale ha confermato che la mera iscrizione all’AIRE non è condizione sufficiente ad escludere, in linea di principio, la residenza fiscale del soggetto passivo sul territorio dello Stato.
La vicenda posta al vaglio degli ermellini riguardava la valutazione della residenza fiscale di un cittadino svizzero nei confronti del quale il Tribunale di Ferrara aveva confermato il sequestro preventivo disposto a fronte dell’importo riferito all’imposta evasa, con la conseguente formulazione dell’ipotesi accusatoria ex articolo 5 D.Lgs. 74/2000.
In particolare, sulla base delle indagini svolte dalla Guardia di Finanza la citata persona fisica, formalmente residente all’estero, risultava avere il centro principale dei suoi interessi ed il fulcro della sua attività lavorativa in Italia.
Il supremo giudice di legittimità, nel richiamare i presupposti normativi necessari ad individuare la residenza fiscale del soggetto passivo d’imposta, come delineati dall’articolo 2 Tuir, ha chiarito che “l’iscrizione nell’anagrafe dei soggetti residenti in altro Stato non è elemento determinante per escluderne la residenza fiscale in Italia allorché si tratti di soggetto che abbia nel territorio dello Stato la sua dimora abituale ovvero il proprio domicilio, inteso come sede principale dei propri affari ed interessi economici, così come delle proprie relazioni personali, dovendo il carattere soggettivo ed elettivo della scelta dell’interessato essere a tal fine contemperato con le esigenze di tutela dell’affidamento dei terzi”.
In conclusione, respingendo il ricorso presentato dalla difesa avverso l’ordinanza con la quale il giudice di merito aveva confermato il sequestro preventivo, la Corte di cassazione ha sancito che il soggetto era residente in Italia, luogo ove risultava situato il suo domicilio fiscale.
Infatti, sulla base del dato fattuale, nel comune di Ferrara la persona fisica dimorava stabilmente ed aveva stabilito il suo studio di design.
Inoltre, sempre sul territorio dello Stato la stessa persona fisica:
- era titolare di plurimi conti correnti in proprio ossia tramite le società nelle quali risultava cointeressato;
- utilizzava frequentemente in territorio italiano le carte di credito;
- frequentemente percorreva la rete autostradale italiana.