A seguito dell’accoglimento, in primo grado, del ricorso della contribuente, la CTR Lazio, adita dall’Agenzia delle Entrate, aveva ritenuto fondata la pretesa fiscale, sicché la società soccombente aveva presentato ricorso innanzi alla Suprema Corte sulla base di quattro motivi di diritto in cui aveva denunciato la violazione e falsa applicazione in riferimento, rispettivamente, agli:
- articoli 19, 21 e 26 del d.P.R. n.633/72, 75 e ss. del d.P.R. n.917/86, 4 e ss. del D.Lgs. n.446/97, relativamente al proprio diritto di dedurre i costi ai fini delle imposte dirette e di detrarre l’IVA,
- articoli 2729 c.c. e 116 c.p.c., per non avere la CTR desunto elementi presuntivi di valutazione dalla sentenza di assoluzione dall’imputazione di utilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti del rappresentante legale della società ricorrente;
- articoli 8, 40 e 41 del D.L. n.331/93 e 28 quater, parte A, lett. a), 17, n. 3, lett. b) e art. 28 bis della Sesta Direttiva n. 388/77/CEE, concernente gli acquisti triangolari intracomunitari, la cui disciplina – ad avviso del giudice di appello – avrebbe impedito, nella specie, la detrazione dell’IVA sulle fatture contestate dall’Ufficio,
- articoli 75 del D.P.R. n. 917/86, 4 e ss. del D.Lgs. n.46/97 e 2697 c.c., per non avere, l’Amministrazione finanziaria, provato l’esistenza di un maggiore imponibile,
nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo della controversia, previsti dall’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c..
Orbene, relativamente alla proposizione congiunta delle doglianze di cui ai citati nn. 3 e 5 dell’art. 360 c.p.c., la Quinta Sezione ha osservato come, in ogni motivo di ricorso, la contribuente avesse dedotto cumulativamente il vizio di violazione di legge e quello di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione concludendo, però, con un unico quesito di diritto, in cui erano sintetizzate sia le ragioni della censura in diritto che quelle relative al profilo motivazionale. Le censure effettuate erano inoltre prive di un autonomo momento di sintesi, contenente l’indicazione del fatto controverso per il quale la motivazione si assumeva inesistente o inadeguata ex art.366 bis c.p.c..
Sul punto, si deve rammentare che la giurisprudenza di legittimità si era già espressa nel senso di ritenere che, in caso di proposizione di motivi di ricorso formalmente unici ma in realtà articolati in profili autonomi e differenziati di violazioni di legge diverse, “sostanziandosi tale prospettazione nella proposizione cumulativa di più motivi”, al fine di non eludere la ratio dell’art. 366 bis c.p.c., “tali motivi cumulativi devono concludersi con la formulazione di tanti quesiti per quanti sono i profili fra loro autonomi e differenziati avanzati” (ex multis, SS.UU. n. 5624/09 e Cass. n. 16345/13).
Nel caso di specie, la Cassazione ha quindi considerato inammissibile, per violazione dell’art.366 bis c.p.c., il ricorso proposto dalla società, atteso che i quesiti di diritto si risolvevano in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo, la cui sussistenza era dedotta, nella sintesi finale, in forma assertiva, e non di quesito, senza oltretutto chiarire quale fosse l’errore di diritto nel quale fosse incorsa la sentenza impugnata (in tal senso, Cass. n. 19892/07 e SS.UU. n. 21672/13).
Inoltre, ogni motivo non si concludeva con una specifico momento di sintesi che contenesse, da un lato, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assumeva insufficiente e, dall’altro, la sintesi delle ragioni per le quali il vizio denunciato si ritenesse sussistente con riferimento alla concreta motivazione posta a fondamento della sentenza impugnata.