27 Febbraio 2014

La gestione dei rischi finanziari: un’opportunità per le aziende italiane

di Andrea Giovannetti
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Tutte le indagini che negli ultimi anni sono state effettuate in Italia sullo stato dell’arte dei rischi finanziari ci dicono che solo una minima parte delle aziende si pone questo tema in modo efficace. La stragrande maggioranza non se lo pone oppure se lo pone, ma ritiene non vi sia nulla da fare o se lo pone in modo sbagliato.

Vogliamo vedere il bicchiere mezzo pieno? Pensiamo a quanta efficienza possiamo recuperare solo migliorando questi aspetti, a quanti margini di miglioramento cui possiamo puntare solo decidendo di volerlo fare.

Non vuole essere una banalizzazione, alcuni aspetti sono sicuramente complessi, ma è una questione di approccio: il primo passo è accendere l’interruttore e decidere di affrontare il problema, poi si va avanti, un passo dietro l’altro.

Pensate a quante azioni aziendali sono finalizzate a tentativi di risparmio di un solo punto percentuale rispetto al fatturato e qui ce ne sono 17 potenzialmente in ballo, solo per quanto riguarda le valute; pensate a tutte quelle aziende (e sono tante) la cui massa di rischio valutario è alta perché il fatturato extra UE è particolarmente significativo sul totale.

La gestione di questo rischio specifico nelle aziende italiane è ancora largamente insufficiente. Quello che potrebbe essere un fattore distintivo per aumentare la competitività con l’estero in realtà è un elemento che va a peggiorare l’impatto di una crisi diffusa in vari settori.

Se il mio fatturato estero in euro è aleatorio, ma i ricavi sono in espansione e i margini sono alti, pur non essendo un comportamento virtuoso, posso anche non accorgermi del rischio che ho corso, ma quando tutto si contrae non posso permettermi un’alea così grande.

Il 2013 non è stato tra gli anni con maggior volatilità, ma 100$ incassati a luglio valevano 78 Euro, incassati ad ottobre ne valevano 72, il 7,7% in meno in 3 mesi! Gli stessi 100$ un anno prima consentivano di incassare 83 Euro.

Se in economia e in finanza l’informazione è tutto, pensiamo quanto sia importante conoscere questi aspetti per poterli gestire al meglio. La parola chiave è “gestire” che in questo contesto significa agire informati. Non gestire significa automaticamente speculare, magari in modo inconsapevole (quindi molto peggio di chi lo fa consciamente) ma tale è il comportamento che fa dipendere i propri conti dall’andamento di una misura finanziaria su cui non si ha il controllo.

“Gestire” è anche la parola chiave della norma ISO 31000 che fissa le modalità di verifica e controllo dei rischi aziendali e che a sua volta è basata sul concetto di “risk approach”, struttura portante delle linee guida per i revisori e per i collegi sindacali.

In estrema sintesi la norma definisce un processo iterativo che porta ad un miglioramento degli standard di rischio e quindi a savings importanti. Tale processo ha un fondamento lapidario: prima di poter gestire un rischio è necessario identificarlo e misurarlo, solo dopo aver proceduto con queste due fasi possiamo verificare i mezzi migliori per immunizzarlo e le strategie da mettere in atto. Ma possiamo andare anche oltre. Se dopo la fase di identificazione e quella di misura si dovesse vedere che un determinato rischio ha un impatto che possa essere ritenuto ragionevolmente basso sui conti aziendali, gestire significa in quel caso anche non fare nulla, ma in modo consapevole e documentato.

Pianificare, in questo campo, porta a coprire meglio i rischi e a spendere meno per gli strumenti di copertura.

Coprirsi dall’eventualità che il dollaro possa superare una determinata soglia invalicabile può costare quasi niente, se siamo distanti da quella soglia, ma può costare molto se ormai siamo arrivati a ridosso di quel livello.

L’inconsapevolezza è, dati alla mano, la causa principale del “non agire”. Per inconsapevolezza si intende in modo generico uno o più dei seguenti approcci aziendali:

  1. non so che ho il problema;
  2. so che ho il problema, ma sottovaluto gli impatti;
  3. so che ho il problema, ma non so che esistono le soluzioni.

Questi tre approcci spesso convivono e si autoalimentano. Si basano tutti su informazioni non corrette che spesso sono generate dalle stesse logiche aziendali. E’ frequente, infatti, parlare con vari esponenti aziendali che hanno gradi di consapevolezza diversi (e questo è normale) ma la qualità di informazione e comunicazione è bassa, quindi invece di crescere la consapevolezza complessiva si appiattisce sul più basso, in una sorta di entropia irreversibile.

Se, per esempio il vecchio direttore finanza era avverso in modo generalizzato ai derivati, il nuovo che subentra troverà un ambiente che considererà ostile a questo strumento, senza nemmeno entrare nel merito di quali possono essere utili, quali inutili e quali addirittura dannosi (della serie: dal momento che esistono i serial killer, tutti gli uomini sono cattivi…).

Questo nuovo direttore non affronterà il tema, per paura di contravvenire a policy non scritte, mentre la direzione assumerà questa posizione come una scelta propria e che va a consolidare quella già assunta dal precedente.

L’eventuale consulente esterno si sentirà dire “guardi che in questa azienda non amiamo speculare, la direzione vieta l’utilizzo di derivati” e via così.

Il nemico non è il rischio, ma lo strumento che dovrebbe servire a mitigare quel rischio.

L’azienda che non utilizza forme di copertura dai rischi finanziari sta speculando sull’andamento delle valute o delle materie prime o dei tassi. La mancata immunizzazione della gestione caratteristica costituisce speculazione, non il contrario. Quindi chi è convinto di non speculare solo perché non fa nulla in realtà di fatto sta facendo l’opposto. Non a caso i futures sono nati in epoche lontane proprio per ridurre il rischio, non certo per il contrario.

Spesso si attribuiscono colpe agli strumenti in sé e non al loro utilizzo: questo è il caso dei derivati. E’ l’utilizzo distorto e spesso truffaldino che li ha resi impopolari, ma questi strumenti non fanno altro che il loro mestiere: dobbiamo solo conoscerli meglio. D’altra parte sapevate che i fulmini uccidono mille volte più degli squali?

 

 

Andrea Giovannetti