La gestione di un posto di ristoro nell’impianto sportivo – II parte
di Guido MartinelliUna delle problematiche che maggiormente coinvolgono i gestori di centri sportivi e palestre è quella relativa agli adempimenti amministrativi legati alla gestione del bar e/o ristorante all’interno dei propri locali. Va precisato che il diritto alla irrilevanza fiscale della somministrazione di cibi e bevande ai propri associati, esaminato nel precedente contributo, soffre, però, del limite della conformità alle finalità istituzionali dell’attività svolta nonché della loro complementarietà, presupposto questo per l’applicabilità del quinto comma dell’art. 148 del Tuir (“Per le associazioni di promozione sociale (…) non si considerano commerciali, anche se effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici, la somministrazione di alimenti e bevande effettuata, presso le sedi in cui viene svolta l’attività istituzionale, da bar ed esercizi similari e l’organizzazione di viaggi e soggiorni turistici, sempreché le predette attività siano strettamente complementari a quelle svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali e siano effettuate nei confronti degli stessi soggetti indicati nel comma 3”).
A questo proposito esiste una rigida presa di posizione assunta nel tempo dalla Corte Suprema di Cassazione: “Costituisce ormai, infatti, principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo il quale, sia in tema di imposte sui redditi che in materia di imposta sul valore aggiunto, nel sistema vigente anteriormente all’entrata in vigore della L. 23 dicembre 2000, n. 383, art. 4 che ha consentito ai circoli di finanziarsi con attività commerciali consistenti nella cessione di beni e servizi ai soci ed ai terzi, l’attività di bar con somministrazione di alimenti e bevande verso pagamento di corrispettivi specifici svolta da un circolo sportivo, culturale o ricreativo, anche se effettuata ai propri associati, non rientra in alcun modo tra le finalità istituzionali del circolo stesso, e deve quindi ritenersi, ai fini del trattamento tributario, attività di natura commerciale (cfr., quanto alle imposte sui redditi, Cass. n. 15191 del 2006, e, quanto all’IVA, Cass. nn. 20073 del 2005, 26469 e 28781 del 2008)” (Cassazione Civile, Sezione tributaria, Sentenza 12 maggio 2010, n. 11456, Min. Economia Finanze e altri / Circolo Max Sport Club).
Ma la strada del posto di ristoro dotato di autorizzazione per attività circolistica (ossia riservata agli associati dell’ente di riferimento) è difficilmente compatibile con la collocazione all’interno di un impianto sportivo laddove l’accesso dei terzi, spettatori o atleti di squadre avversarie appare costante.
Il combinato disposto dagli artt. 3 comma IV lett. d) e 5 comma I lett. c) della legge n. 287/91 offre sotto questo profilo una interessante prospettiva. Infatti, viene prevista la possibilità di ottenere autorizzazioni per locali “aperti al pubblico” anche al di fuori dei limiti posti dai piani territoriali sul commercio (fermo restando, ovviamente, la necessità dei nulla osta di carattere igienico – sanitario).
Tale possibilità, infatti, viene concessa agli esercizi ubicati all’interno di “sale da ballo, sale da gioco, locali notturni, stabilimenti balneari ed esercizi similari” in cui sia prevalente l’attività congiunta di trattenimento e svago. La prassi conferma che tali requisiti debbano essere presenti anche negli spazi e aree destinate all’esercizio di attività sportive in generale purchè recintate, ossia che il posto di ristoro sia all’interno di un’area sportiva ben delimitata e recintata (palestra, stadio, piscina, ecc.). E’ chiaro che in quest’ultimo caso, come in tutte le fattispecie di “locale aperto al pubblico” l’attività svolta è di natura commerciale. Nulla impedirà all’ente di godere del regime agevolato della Legge 398/91 anche per tale tipo di proventi (con conseguente esonero dall’obbligo dell’installazione del misuratore fiscale) e di svolgere senza limiti attività commerciale, in quanto si ricorda (v. art. 149 del TUIR) che le associazioni sportive non perdono la loro natura di enti non commerciali pure in presenza di prevalente attività soggetta ad imposizione.
Le caratteristiche necessarie al fine dell’ottenimento di tale specifica autorizzazione sono legate alla circostanza che il posto di ristoro non abbia libero e diretto accesso alla pubblica strada e che su quest’ultima non appaiano scritte pubblicitarie che, in qualsiasi modo, possano indurre il privato consumatore ad entrare nell’impianto al fine di consumare al bar. Infine, ovviamente, detta “licenza” appare legata all’impianto e, come tale, non potrà essere trasferita in altre sedi.
Si ricorda, comunque, che invece la somministrazione di pasti, intesa come cibi che, con la cottura, modifichino le loro caratteristiche organolettiche, costituisce sempre e comunque un esercizio di attività commerciale, anche se svolta in favore dei propri associati e pertanto il ricavo dovrà essere assoggettata ad imposizione diretta e ad Iva.
Va ricordato come, fino all’anno scorso, la figura contrattuale di riferimento per inquadrare i preposti della associazione sportiva nella gestione del posto di ristoro era l’associazione in partecipazione con apporto di solo lavoro.
Il venire meno, a causa dell’entrata in vigore del d.lgs. 81/2015, della possibilità di ricorrere a tale fattispecie ha creato un “buco” nella fattispecie concreta in esame che, probabilmente, potrà essere ricucito solo rivolgendosi agli istituti del rapporto di lavoro subordinato.