12 Ottobre 2018

La giurisprudenza insiste sull’esenzione Imu alle SSD

di Luca Caramaschi
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L’articolo 7, comma 1, lett. i), D.lgs. 504/1992, testualmente recita che sono esenti dall’imposta “gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all’articolo 87 [oggi articolo 73], comma 1, lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.917, e successive modificazioni, destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all’articolo 16, lettera a), della legge 20 maggio 1985, n. 222”.

A prescindere dalla non semplice verifica delle condizioni oggettive richieste per fruire dell’agevolazione, ciò su cui ci si intende soffermare è invece l’aspetto soggettivo della medesima.

Sul punto non sembrano sussistere dubbi stante l’esplicito richiamo operato all’articolo 73, comma 1, lett. c), Tuir che individua quali destinatari dell’agevolazione “gli enti pubblici e privati diversi dalle società, i trust che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale nonché gli organismi di investimento collettivo del risparmio, residenti nel territorio dello Stato”.

È quindi alla platea degli enti non commerciali che il legislatore ha pensato quando, nel lontano 1992 con riferimento all’Ici, e, successivamente, con l’articolo 13 D.L. 201/2011 con riferimento all’Imu (unitamente alla Tasi per effetto del successivo D.L. 16/2014), ha previsto l’esenzione da tali tributi locali con riferimento agli immobili utilizzati nell’attività “istituzionale” dell’ente.

E’ invece con riferimento al comparto sportivo dilettantistico che tali pacifiche conclusioni vengono messe in discussione, almeno da quando l’articolo 90 L. 289/2002 disciplina sotto il profilo fiscale la società di capitali sportiva dilettantistica (in acronimo “SSD”), riconoscendo in capo ad essa l’applicazione alcune agevolazioni peculiari del mondo degli enti non commerciali di tipo associativo. La frase “incriminata” è contenuta nel comma 1 del citato articolo 90 L. 289/2002 e recita “Le disposizioni della legge 16 dicembre 1991, n. 398, e successive modificazioni, e le altre disposizioni tributarie riguardanti le associazioni sportive dilettantistiche si applicano anche alle società sportive dilettantistiche costituite in società di capitali senza fine di lucro”.

L’agenzia delle entrate, con la circolare 21/E/2003 ha provato, senza molto successo per la verità, a riempire di contenuti l’inciso normativo “altre disposizioni tributarie”, per capire quali fossero le agevolazioni del mondo associativo effettivamente applicabili anche alle società sportive dilettantistiche costituite in società di capitali senza fine di lucro.

Senza particolari argomentazioni e con una certa confusione, infatti, il documento di prassi, dopo aver premesso, al par. 2.2., che “Nei confronti delle società sportive dilettantistiche non possono, quindi, trovare applicazione le disposizioni relative agli enti non commerciali, recate dagli articoli 108 [oggi articolo 143] e seguenti del Tuir, ivi comprese quelle contenute nell’art. 111 [oggi articolo 148], concernente gli enti non commerciali di tipo associativo”, precisa:

  • al 3.1.1. che, anche per le società sportive dilettantistiche, i corrispettivi di cui all’articolo 111 [oggi articolo 148], comma 3, Tuir, ricorrendo le condizioni ivi richiamate, non sono fiscalmente rilevanti (si tratta della decommercializzazione dei proventi incassati dagli associati/tesserati a fronte di servizi specifici);
  • al 3.3, che alle società sportive dilettantistiche di capitali senza scopo di lucro, che si avvalgono della L. 398/1991, si applica la disposizione contenuta nell’articolo 25, comma 2, lett. a) e b), L. 133/1999, così come modificata dall’articolo 37 L. 342/2000 (si tratta della decommercializzazione dei proventi ricavati anche da terzi in occasione dello svolgimento di attività commerciali connesse agli scopi istituzionali).

C’è tuttavia un aspetto, rimarcato dalla stessa circolare 21/E/2003, che ha da sempre costituito un freno alla estensione tout court alle SSD delle agevolazioni previste per le associazioni sportive dilettantistiche.

È il passaggio nel quale “Si chiarisce che le società sportive dilettantistiche costituite in società di capitali, ancorché non perseguano il fine di lucro, mantengono, dal punto di vista fiscale, la natura commerciale e sono riconducibili, in quanto società di capitali, nell’ambito dell’art. 87, comma 1, lettera a) del TUIR. L’assenza del fine di lucro non incide sulla qualificazione tributaria degli enti in questione”. Tanto che è la stessa circolare AdE 21/E/02003 a precisare che è la “natura” stessa della società sportiva dilettantistica di capitali senza fini di lucro ad impedire l’applicazione della previsione contenuta nell’articolo 111-bis [oggi articolo 149], comma 4, Tuir, che esclude la perdita della qualifica di ente non commerciale per le associazioni sportive dilettantistiche.

A ribadire le affermazioni contenute nella citata circolare AdE 21/E/2003 è intervenuta di recente la circolare 18/E/2018 con la quale l’Agenzia delle entrate ha precisato, altresì, come l’applicazione alle SSD dell’agevolazione contemplata dall’articolo 148, comma 3, Tuir deve intendersi come “eccezionale” rispetto al generale divieto di estensione analogica del sistema di agevolazioni previsto appositamente dagli articoli 143 e ss. Tuir per gli enti non commerciali di tipo associativo.

Ed è proprio tale eccezionalità che, unitamente alla natura di soggetto commerciale di cui all’articolo 73, comma 1, lett. a), Tuir della SSD, ha fatto sorgere in dottrina più di un dubbio sulla possibile estensione dell’agevolazione consistente nell’esenzione Imu in capo a tali soggetti.

In questo contesto di generale perplessità circa la possibilità di esentare da Imu gli immobili delle società sportive dilettantistiche costituite in società di capitali si inserisce la sentenza CTR Lombardia n. 1887/64/2015 del 05.05.2015, che ha esaminato il caso di un accertamento Ici riguardante un impianto natatorio costruito su un terreno in diritto di superficie detenuto da una società di capitali sportiva dilettantistica (di seguito SSD) costituita ai sensi dell’articolo 90 L. 289/2002. Ribaltando le conclusioni cui era pervenuta la precedente CTP Brescia con la sentenza n. 34/2013, i giudici di secondo grado hanno invece riconosciuto l’esenzione Ici alla SSD nella considerazione che tale soggetto è del tutto analogo, sotto il profilo tributario, alle associazioni sportive dilettantistiche.

Dopo quella che pareva una pronuncia isolata è giunta di recente la sentenza n. 3576/2018 con la quale, sempre la CTR Lombardia, confermando la decisione di primo grado, afferma che le società sportive a responsabilità limitata che non abbiano fini di lucro non pagano l’Imu, oltre a precisare che per avere diritto all’esenzione la società non deve presentare nessuna dichiarazione.

Seppur condivisibili nella loro “filosofia” le positive conclusioni cui è pervenuta in queste due occasioni la CTR Lombardia vanno assunte con estrema cautela posto che la disposizione normativa (articolo 7, comma 1, lett. i), D.Lgs. 504/1992) riconosce letteralmente l’esenzione ai fini Ici a tutti gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all’articolo 73 comma 1, lett. c), Tuir, con un apparente insormontabile ostacolo rappresentato dalla diversa “natura” della SSD che, come riconosciuto dalla stessa Agenzia, è da ricondursi alla lettera a) del medesimo articolo 73.

Non resta quindi che attendere l’esito del giudizio di legittimità che, se favorevole al contribuente, potrebbe indurre il legislatore, come accaduto in altre occasioni, ad intervenire normativamente per riconoscere pacificamente l’esenzione a soggetti comunque caratterizzati dalla finalità non lucrativa.

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