La L. 398/1991 e il principio di cassa
di Guido MartinelliUna recente decisione della Commissione Tributaria Regionale del Veneto (sentenza n. 566 del 19.04.2021) ripropone il controverso tema del c.d. concetto di “cassa allargato” da utilizzare nella applicazione della L. 398/1991.
Il Ministero delle Finanze, dopo aver affermato, con la circolare 1/1992, che “stante la particolarità della disciplina introdotta dalle L. 398/1991 per i soggetti ivi indicati, ai fini della individuazione dei proventi in argomento deve aversi riguardo al principio di cassa”, con proprio decreto del 18.05.1995 prescrisse, nell’allegato che: “Stante la particolarità della disciplina introdotta dalla legge n. 398, occorre precisare che per l’individuazione dei proventi conseguiti nell’esercizio di attività commerciali deve aversi riguardo al criterio di cassa, nel cui ambito, peraltro, resta fermo il principio voluto dalla normativa Iva secondo cui vanno computati gli introiti fatturati ancorché non riscossi”.
Tale principio è stato da ultimo ribadito dalla circolare 18/2018 della Agenzia delle entrate, nella quale viene indicato che: “Stante la particolarità della disciplina introdotta dalla legge n. 398 del 1991, per l’individuazione dei proventi conseguiti nell’esercizio di attività commerciali deve aversi riguardo al momento in cui è percepito il corrispettivo. Si fa presente, tuttavia, che, qualora anteriormente alla percezione del corrispettivo sia emessa fattura, andranno in tale ipotesi computati anche gli introiti fatturati ancorché non riscossi. Tale criterio deve essere seguito – al fine della determinazione del plafond di 400.000 euro e dell’applicazione delle modalità forfetarie di determinazione del reddito imponibile e dell’Iva proprie del regime di cui alla legge n. 398 del 1991 – anche dalle società sportive dilettantistiche senza scopo di lucro”.
Sostanzialmente, secondo l’Amministrazione finanziaria, se una sportiva con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare ha percepito al 20 dicembre dell’anno “n” corrispettivi per 380.000 euro e il 27 dicembre dello stesso anno “n” ha emesso una fattura per operazioni di sponsorizzazione per un importo imponibile pari ad 40.000 euro, riscosso il successivo 15 gennaio dell’anno “n+1”, i proventi, pari a 40.000 euro, fatturati nell’anno “n” ma percepiti nel successivo anno “n+1”, concorrono comunque al calcolo del plafond di 400.000 euro relativamente all’anno “n”, determinando, nel caso di specie, un superamento di detto plafond.
Questa tesi, oltre alla dottrina, ha visto fino ad oggi contraria anche la giurisprudenza di merito.
Infatti l’interpretazione indicata era stata avversata già dalla CTP Reggio Emilia (sentenza n. 274/2014) e dalla CTR L’Aquila (sentenza n. 256/15).
I giudici di secondo grado abruzzesi hanno stabilito che la tesi della prassi amministrativa “introduce una distinzione arbitraria circa le modalità di incasso dei proventi, non desumibile neanche indirettamente dal tenore della norma di cui alla legge n. 398/1991. Laddove si fa riferimento ai «proventi conseguiti» nulla viene specificato circa le modalità di provenienza del provento e l’assenza nella norma di ogni riferimento al riguardo è coerente con il principio di cassa perché ciò che rileva non è la natura del mezzo utilizzato per il pagamento ma solo e soltanto l’effetto di realizzo che ne deriva al fine di qualificare il provento come effettivo ricavo” (sul punto vedi anche S. Rossetti “Il principio di cassa nell’ambito dell’agevolazione ex articolo 1 L. 398/1991”, in EcNews del 21.07.2020).
Il caso di specie in esame, posto dalla sentenza del giudice di secondo grado veneto, è tipico: associazione sportiva dilettantistica che sarebbe uscita dal plafond dell’esercizio accertato nel caso fossero da computarsi anche le fatture emesse ma non ancora incassate.
La sentenza in commento, collegandosi al precedente filone giurisprudenziale, non condivide la tesi della Agenzia delle entrate ritenendo che l’allargamento del concetto di cassa introdurrebbe nell’ordinamento una sorta di terza via, oltre ai canoni classici di cassa e competenza, in assenza di una esplicita disposizione normativa all’interno della L. 398/1991.
La lettera della norma, secondo il Giudicante, non consente di ritenere che siano proventi “conseguiti anche quelli relativi a fatture emesse nel corso dell’esercizio ma non ancora incassati”.
Del resto, se così fosse, si creerebbe una discrasia tra la disciplina Iva e i criteri di determinazione delle imposte dirette, vigente il regime di cassa.
L’assenza di una precisa disposizione di legge, ad avviso dei magistrati tributari, non può essere superata da norme regolamentari, quali il citato D.M. 18.05.1995, oppure da documenti di prassi amministrativa quali debbono essere ritenute le circolari della Agenzia delle entrate.