La legittimazione all’impugnazione del fallimento
di Luigi FerrajoliCon l’interessante ordinanza n. 7190 resa in data 13 marzo 2019, la Prima Sezione della Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di legittimazione alla proposizione del reclamo avverso la sentenza dichiarativa del fallimento contemplata dall’articolo 18 L.F. e statuito che tale disposizione ricomprende, chiaramente, anche la figura dell’amministratore di società di capitali, trattandosi di mezzo impugnatorio volto a rimuovere gli effetti riflessi negativi che possono derivargli dalla dichiarazione di fallimento, sul piano sia morale (in relazione ad eventuali contestazioni di reati) che patrimoniale (in relazione ad eventuali azioni di responsabilità).
Nel caso specifico, la Corte d’appello di Bari aveva dichiarato inammissibile, per difetto di legittimazione, il reclamo proposto dall’amministratore di una società a responsabilità limitata in liquidazione avverso la sentenza di fallimento emessa dal Tribunale di Bari, su richiesta del Pubblico Ministero.
Avverso detta sentenza aveva quindi proposto ricorso in Cassazione il predetto amministratore a cui l’Amministratore Giudiziario, il Liquidatore giudiziale e la Curatela del Fallimento avevano resistito con controricorso.
Investita della questione, la Suprema Corte di Cassazione ha analizzato il tema della legittimazione dell’amministratore della S.r.l. ad impugnare la sentenza di fallimento e, quindi, la disposizione di cui all’articolo 18 L.F., secondo cui “contro la sentenza che dichiara il fallimento può essere proposto reclamo dal debitore e da qualunque interessato con ricorso da depositarsi nella cancelleria della corte d’appello nel termine perentorio di trenta giorni…”.
Nello specifico, il medesimo non era mai stato formalmente socio della società fallita ma solamente amministratore della stessa fino al subentro dell’amministratore giudiziario, in forza dell’intervenuta confisca di prevenzione del compendio aziendale e del capitale sociale.
Sul punto, nel corso dei giudizi di merito, era stato evidenziato che oltre ad essere stato amministratore della società fino alla data di esecuzione del sequestro penale delle quote societarie, il medesimo era stato anche il “sostanziale” titolare delle quote medesime (formalmente, esse appartenevano alla sorella) su cui avevano trovato fondamento il sequestro e la successiva confisca.
Ebbene, analizzata la portata dell’articolo 18 L.F., la Corte di Cassazione ha quindi ritenuto che anche all’amministratore di società di capitali “spetta iure proprio tale legittimazione, trattandosi di mezzo impugnatorio volto a rimuovere gli effetti riflessi negativi che possano derivargli dalla dichiarazione di fallimento, sul piano sia morale – in relazione ad eventuali contestazioni di reati – che patrimoniale – in relazione ad eventuali azioni di responsabilità-”.
Tale principio è stato, più volte, confermato da un consolidato orientamento della corte di legittimità: si vedano, in tal senso, le sentenze della Corte di Cassazione n. 3368/2006, n. 9491/2002 e n. 12654/2014, secondo le quali l’ampia formulazione dell’articolo 18 L.F. estende inconfutabilmente la legittimazione ad agire nei confronti di “qualunque interessato”, essendo “l’opposizione volta a rimuovere gli effetti riflessi – individuabili nelle responsabilità in sede penale e civile e nelle particolari restrizioni ex articolo 49, in relazione alla L. Fall., articolo 146, – che possono derivare a danno di lui dal fallimento”.
Al riguardo – ha affermato la Corte di Cassazione – deve essere poi verificato se, al momento della dichiarazione di fallimento, l’amministratore della società fosse ancora in carica oppure già cessato dalla stessa.
Corre poi l’obbligo di segnalare che, nel caso di specie, l’interesse in questione emergeva in tutta la sua chiarezza, considerato che il provvedimento di sequestro dell’intero compendio aziendale e dell’intero capitale sociale relativi alla società a responsabilità limitata era stato emesso dal Tribunale di Bari proprio ai danni del preposto amministratore che, all’epoca, rivestiva la carica di liquidatore della società.
Alla luce di tali ragioni, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso proposto dall’amministratore e rinviato la causa alla Corte d’Appello di Bari, in diversa composizione.