La legittimazione straordinaria del fallito
di Luigi FerrajoliArgomento di particolare interesse riveste, in ambito fallimentare, la legittimazione straordinaria dell’imprenditore dichiarato fallito, in costanza della procedura concorsuale liquidatoria, ad adire la tutela giudiziaria in relazione a rapporti patrimoniali che facevano capo al medesimo.
A tale proposito si ravvisa preliminarmente che la dichiarazione di fallimento ha, tra i suoi effetti, quello di privare il fallito della legittimazione ad agire o resistere in giudizio.
Questo principio è sancito dall’articolo 43, comma 1, L.F. secondo il quale “nelle controversie, anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento sta in giudizio il curatore”.
La ragione per cui il fallito non può domandare in prima persona l’adempimento delle obbligazioni di cui sia creditore né essere convenuto per quelle in cui risulta debitore, risiede nel fatto che l’esito di questi giudizi incide sul patrimonio dello stesso, e quindi influisce sulla formazione dell’attivo e sulla soddisfazione dei creditori ammessi al concorso.
La dichiarazione di fallimento, pur non sottraendo al fallito la titolarità dei rapporti patrimoniali compresi nel fallimento, comporta la perdita della capacità di stare in giudizio nelle relative controversie, spettando la legittimazione processuale esclusivamente al curatore, ai sensi dell’articolo 43 citato.
A questa regola fanno eccezione soltanto l’ipotesi in cui il fallito agisca per la tutela di diritti strettamente personali e quella in cui, pur trattandosi di rapporti patrimoniali, l’amministrazione fallimentare sia rimasta inerte, manifestando indifferenza nei confronti del giudizio (Corte di Cassazione, n. 31843/2019).
Secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente, la perdita della capacità di stare in giudizio del fallito, a seguito della dichiarazione di fallimento, non è assoluta, ma relativa alla massa dei creditori, alla quale soltanto è consentito eccepirla, con la conseguenza che, se il curatore rimane inerte e il fallito agisce per proprio conto, la controparte non è legittimata a proporre l’eccezione, né il giudice può rilevare d’ufficio il difetto di capacità, e il processo continua validamente tra le parti originarie, tra le quali soltanto avrà efficacia la sentenza finale.
Questa soluzione è coerente con la eterogeneità dell’interesse ad agire del debitore rispetto all’interesse della massa dei creditori, in quanto l’interesse del primo soccombe solo se entra in conflitto con quello della massa dei creditori (Corte di Cassazione, n. 17240/2022).
Sennonché tale situazione non può certo considerarsi verificata ove il fallimento sia stato parte della controversia e il suo potere di impugnazione sia stato oggetto di specifico esame e di determinazione in sede fallimentare.
In tal caso non è concepibile che il fallito conservi per lo stesso rapporto la legittimazione processuale ad impugnare, dato che il curatore sta in giudizio sia per la massa dei creditori che per il fallito, e il suo comportamento processuale vincola l’una e l’altro.
Il difetto di legittimazione diviene, in questo caso, assoluto e può essere anche rilevato d’ufficio dal giudice (Corte di Cassazione, n. 31313/2018).
In questo contesto è tuttavia affiorato un diverso orientamento di legittimità che ha conferito rilevanza all’inerzia o al disinteresse degli organi fallimentari in ordine a quei rapporti.
Ai fini del riconoscimento di tale legittimazione, avente carattere straordinario o suppletivo, non è tuttavia sufficiente che la curatela si sia astenuta da iniziative processuali, quali la proposizione della domanda o l’impugnazione di sentenze che abbiano determinato la soccombenza del fallito, occorrendo invece che essa si sia totalmente disinteressata della vicenda processuale, rimettendone esplicitamente o implicitamente la gestione al fallito, con la conseguenza che la legittimazione di quest’ultimo dev’essere esclusa ove l’inerzia degli organi fallimentari costituisca invece il risultato di una valutazione negativa in ordine alla convenienza della controversia (Corte di Cassazione, n. 36894/2021).
Su questo argomento, la Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 25373/2022, ha rimesso al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, la questione della legittimazione del fallito a ricorrere, in caso di inerzia del curatore, contro atti impositivi in costanza di procedura e attinenti a crediti concorsuali.
Nello specifico, la questione riguarda sia il presupposto della legittimazione straordinaria del contribuente insolvente (se rilevi la mera inerzia del curatore, intesa come omesso ricorso alla tutela giurisdizionale, ovvero se occorra accertare se l’inerzia sia o meno frutto di una valutazione ponderata da parte degli organi della procedura concorsuale), sia gli effetti di tale soluzione sulla natura (relativa o assoluta) dell’eccezione di difetto di legittimazione e sulle difese, al riguardo, del contribuente.