26 Gennaio 2023

La legittimazione suppletiva del fallito

di Luigi Ferrajoli
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Secondo il disposto normativo di cui all’articolo 43 L.F., pur non sottraendo al fallito la titolarità dei rapporti patrimoniali compresi nel fallimento, la sentenza di fallimento provoca la perdita della sua capacità processuale nelle relative controversie, nelle quali dovrà poi necessariamente subentrare il curatore.

Nel caso, tuttavia, il nominato curatore rimanga inerte a causa di un totale disinteresse sul punto, il secondo comma dell’articolo 43 L.F. riconosce al fallito una legittimazione suppletiva, che opera nel momento in cui entrano in gioco i suoi diritti patrimoniali, in relazione ai quali gli organi fallimentari potrebbero mostrarsi indifferenti.

Ciò premesso, si assume che, secondo un consolidato orientamento della Corte di Cassazione (ex multis, Cass. Civ., n. 24159/2013), la scelta consapevole della procedura fallimentare di non instaurare o non subentrare al fallito in una controversia relativa a rapporti patrimoniali del medesimo esclude la legittimazione del fallito ex articolo 43 L.F. in luogo del quale, ai sensi del primo comma della medesima norma, nelle controversie “anche in corso” starà quindi in giudizio il curatore.

L’estensione del difetto di legittimazione, salvo l’inerzia non motivata, anche alle controversie da instaurare dopo il fallimento può cogliersi dall’esame della norma che, nel nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, occupa l’articolo 143.

La materia è stata recentemente oggetto della sentenza n. 29462/2022, con cui la Corte di Cassazione ha espressamente confermato che “qualora l’amministrazione fallimentare rimanga inerte, il fallito conserva in via eccezionale la legittimazione ad agire a tutela dei suoi diritti patrimoniali, a patto che l’inerzia del curatore sia determinata da un totale disinteresse” e non rappresenta piuttosto “la conseguenza di una valutazione negativa circa la convenienza e la fondatezza della formulazione di contestazione relativamente ai rapporti stessi”.

In buona sostanza, la legittimazione suppletiva del fallito “opera allorquando vengano in questione diritti patrimoniali del soggetto di cui si disinteressino gli organi fallimentari e non quando si faccia questione dell’impugnativa di atti della procedura rispetto ai quali è dato lo speciale rimedio del reclamo fallimentare” (in tal senso anche Cass. Civ., n. 2626/2018; Cass. Civ., n. 13814/2016; Cass. Civ., n. 24159/2013; Cass. Civ., n. 4448/2012; Cass. Civ., n. 15369/2005).

A tal proposito, si evidenzia che la diversa legittimazione del debitore volta alla proposizione, in nome e nell’interesse proprio, del citato reclamo fallimentare ex articolo 26 L.F. (oggi trasposto nell’articolo 124 del CCII) non è finalizzata ad evitare al medesimo il pregiudizio derivante dal disinteresse manifestato dagli organi della procedura nei confronti di diritti patrimoniali che, benché sottoposti ai poteri di disposizione e amministrazione della procedura, restano pur sempre nella titolarità di tale soggetto.

Attraverso tale azione viene, piuttosto, assicurato al fallito – attraverso il sistema di tutele incidente sugli atti degli organi fallimentari (segnatamente, del giudice delegato) – il controllo della regolarità della procedura concorsuale e, quindi, garantita la possibilità di ottenere la declaratoria di invalidità di un atto di disposizione del suo patrimonio che il curatore ha concorso a porre in essere.

Deve in conclusione ritenersi che la legittimazione suppletiva del fallito operi allorquando entrino in gioco gli interessi patrimoniali del debitore, in relazione ai quali gli organi fallimentari non hanno mostrato alcuna attenzione e non allorquando si faccia questione dell’impugnativa di atti della procedura, rispetto ai quali l’ordinamento appresta lo speciale rimedio del reclamo fallimentare.

Sul tema, doveroso appare compiere un cenno al caso del contribuente assoggettato a procedura concorsuale liquidatoria su cui si è, come noto, pronunciata recentemente la Suprema Corte attraverso l’ordinanza n. 25373/2022, con cui sono stati rimessi gli atti al Primo Presidente, al fine di valutare la devoluzione alle Sezioni Unite della questione relativa alla legittimazione – straordinaria e succedanea del fallito – ad impugnare atti impositivi in costanza di procedura e attinenti a crediti concorsuali in caso di inerzia del curatore.

Il principio che verrà affermato – e di cui non può che restarsi in trepidante attesa – potrà avere effetti anche al di fuori della materia tributaria, poiché la questione riguarda “sia il presupposto della legittimazione straordinaria del contribuente insolvente” – chiarendo, quindi, se rilevi la mera inerzia del curatore, intesa come omesso ricorso alla tutela giurisdizionale, ovvero se occorra accertare se l’inerzia sia o meno frutto di una valutazione ponderata da parte degli organi della procedura concorsuale – “sia gli effetti di tale soluzione sulla natura dell’eccezione di difetto di legittimazione e sulle difese”, al riguardo, del contribuente.