Con il nuovo articolo 182, comma 3, Tuir, viene abbandonato l’assunto secondo cui l’imponibile degli esercizi intermedi del periodo di liquidazione veniva determinato in forma provvisoria, salvo conguaglio una volta che fosse definitivo il periodo unico di liquidazione, cioè dall’inizio della stessa fino alla fine della procedura. Questa peculiarità nella determinazione del reddito era applicata nel caso in cui il periodo di liquidazione non superasse cinque esercizi.
Con la nuova versione del citato comma 3, articolo 182, Tuir, si passa ad un regime di determinazione definitiva dell’imponibile degli esercizi intermedi, tenendo conto che il reddito va determinato in base al bilancio finale se la liquidazione non si protrae oltre l’esercizio in cui è stata proclamata, mentre se si protrae oltre tale esercizio la determinazione dell’imponibile è, come si diceva, autonoma e definitiva in ciascun periodo intermedio. A differenza di quanto accade per le società di persone, le società di capitali possono scomputare dal reddito imponibile le perdite degli esercizi precedenti, applicando le consuete limitazioni previste dall’articolo 84, Tuir, cioè abbattimento al massimo dell’80% del reddito fino a capienza dello stesso. Su questo punto va ricordato che la dottrina (Circolare Assonime n. 33/2011) ritiene che il limite dell’80% sia derogabile in sede di chiusura della liquidazione, poiché la norma di cui all’articolo 84, Tuir, non ha come obiettivo la riduzione della compensazione della perdita, ma solo la sua diluizione nel tempo e, cessata l’esistenza della società, non avrebbe senso prolungare il periodo di compensazione con redditi che non verranno mai più prodotti. Questo meccanismo di riporto a nuovo delle perdite pregresse è applicabile qualunque sia il periodo di liquidazione; quindi, anche nel caso in cui esso superi il lasso temporale di 5 esercizi. È chiaro, tuttavia, che l’obiettivo di compensazione tra redditi e perdite è efficacemente raggiunto solo se le perdite precedono gli utili, poiché nel caso contrario si vanificherebbe l’utilizzo delle perdite, atteso che esse, se prodotte dopo gli utili, non incroceranno mai più un imponibile da ridurre. In questo senso interviene la novità dell’articolo 182, comma 3, Tuir, cioè il meccanismo di riporto all’indietro delle perdite (carry back). Tale opzione (va ricordato che il carry back si applica sempre in forma facoltativa) è esercitabile quando il lasso temporale della liquidazione non supera 5 esercizi. Essa permette di rideterminare a ritroso redditi che, in base al nuovo disposto normativo, sono stati determinati a titolo definitivo. La perdita può, quindi, essere addossata ai redditi precedenti, rispettando la loro progressione temporale, e la riduzione avviene, si ritiene, non nel limite dell’80% dell’imponibile, bensì fino a totale capienza dello stesso.
La novità certamente va incontro al caso frequente in cui la perdita si manifesta solo alla fine della liquidazione, ma dal punto di vista sostanziale non sembra che lo scenario cambi radicalmente rispetto al passato. Proviamo ad immaginare una liquidazione di una società di capitali che termina al 5° esercizio con la seguente sequenza di redditi e perdite:
- anno 1= 100;
- anno 2= 150;
- anno 3= 400;
- anno 4 = 250;
- anno 5 = – 450;
Ires versata nei primi 4 anni determinati a titolo definitivo = 216.
Il riporto all’indietro della perdita di 450 comporta che l’anno 4 diventi = 0 e l’anno 3 = 200; quindi, rispetto a 156 (Ires versata negli anni 3 e 4) l’Ires dovuta diventa 48, con emersione di un credito per 108. Ma la situazione non sarebbe stata diversa con la precedente normativa, secondo cui si sarebbe determinato un unico periodo di liquidazione con imponibile pari a 450 cui sarebbe conseguita Ires dovuta per 108, a fronte di una Ires versata a titolo provvisorio per 216 (imponibile dei primi 4 anni = 900) e credito emergente di 108.
Le cose cambiano se la liquidazione si protrae oltre il 5° esercizio, ma in questo caso sia nel passato sia nel presente, i periodi d’imposta vanno considerati definitivi e, quindi, la perdita, se prodotta alla fine della liquidazione (es. sesto anno) viene comunque vanificata.
Ma per la liquidazione delle società di capitali è anche importante segnalare un recente intervento della Cassazione a Sezioni Unite (sentenza n. 3625/2025) che mette un punto fermo sulla responsabilità dei soci per le obbligazioni non estinte. Tale responsabilità non può prescindere dalla dimostrazione che i soci abbiano incassato utili e tale principio è attestato sia per le passività civilistiche (articolo 2495, cod. civ.) sia per quelle fiscali (articolo 36, D.P.R. 602/1973) con l’unica differenza che, ai fini di accertare quest’ultima responsabilità, valgono anche gli utili percepiti nei due esercizi anteriori alla messa in liquidazione. Ma l’onere probatorio resta in capo al creditore (privato o Erario) e tale prova costituisce elemento essenziale, affinché sia legittima l’azione verso i soci (interesse ad agire). Ciò non va però confuso con la possibilità per i soci stessi di agire in giudizio; possibilità che non è limitata dalla circostanza che siano state ottenute somme in dipendenza della procedura liquidativa.
Quindi, il socio non è successore universale rispetto ai debiti non estinti della società, ma solo un soggetto che può essere coinvolto previa dimostrazione dell’avvenuto incasso. Ben diversa è, invece, la posizione del liquidatore, la cui responsabilità non ha natura successoria nei confronti della società, bensì natura risarcitoria, laddove il liquidatore abbia agito in modo da generare un comportamento colposo. Tale comportamento colposo si traduce, nella maggior parte dei casi, nel non aver rispettato la par condicio creditorum e l’ordine dei privilegi (quest’ultimo punto espressamente citato nella responsabilità verso l’Erario dall’articolo 36, D.P.R. 602/1973). Ma per il liquidatore vi è un’inversione dell’onere della prova, il che comporta che sia quest’ultimo a dover dimostrare l’insussistenza della pretesa del creditore, a fronte di un comportamento nel gestire la liquidazione, non macchiato da colpe.