La liquidazione Iva di gruppo non si estende ai soggetti extra-UE
di Angelo GinexIn via generale, l’Iva di gruppo è un metodo di liquidazione dell’Iva che consente alle società controllanti e controllate appartenenti ad un gruppo di compensare, all’interno del medesimo gruppo, le situazioni creditorie in capo ad alcune società con quelle debitorie di altre.
Più nel dettaglio, la procedura in esame, espressamente disciplinata dall’articolo 73, comma 3, D.P.R. 633/1972 e dalle disposizioni applicative di cui al D.M. 11065/1979, costituisce un istituto di matrice comunitaria che trova fondamento nell’articolo 11, comma 1, Direttiva 2006/112/CE, ai sensi del quale «ogni Stato membro può considerare come un unico soggetto passivo le persone stabilite nel territorio dello stesso Stato membro che siano giuridicamente indipendenti, ma strettamente vincolate fra loro da rapporti finanziari, economici ed organizzativi».
In altri termini, l’istituto de quo consente alle imprese legate da particolari vincoli partecipativi di creare un gruppo unico e di procedere alla liquidazione periodica dell’Iva operando come un unico soggetto passivo nei confronti dell’Erario, mediante compensazione, da parte della controllante, delle posizioni debitorie e creditorie che caratterizzano le diverse società.
Ne discende che le società controllate rispondono in solido con la società o ente controllante per le imposte risultanti dalle proprie liquidazioni periodiche non versate dalla controllante; di contro, deve essere prestata una garanzia fideiussoria in sede di presentazione della dichiarazione annuale per gli importi a credito trasferiti da alcune società controllate e compensati con i debiti di altri soggetti partecipanti al gruppo.
Peraltro, in un’ottica di semplificazione, il citato articolo 73, comma 3, D.P.R. 633/1972, come novellato dalla L. 232/2016, prevede che «l’ente o società commerciale controllante comunica all’Agenzia delle entrate l’esercizio dell’opzione per la predetta procedura di versamento con la dichiarazione ai fini dell’imposta sul valore aggiunto presentata nell’anno solare a decorrere dal quale intende esercitare l’opzione».
Quanto all’ambito soggettivo, l’articolo 2 D.M. 11065/1979 stabilisce che sono ammesse a tale procedura, in qualità di controllanti, le società di capitali e gli enti diversi dalle società, mentre le controllate devono essere società di capitali o di persone le cui azioni o quote siano possedute per più del 50% del capitale dalla controllante o da altra società controllata dalla controllante.
Sul punto, con risoluzione 22/E/2005 l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che la procedura di liquidazione dell’Iva di gruppo trova applicazione anche per le società residenti in altri Stati comunitari, purché in possesso dei requisiti previsti dal citato D.M. 11065/1979 (così come modificato dal D.M. 13.02.2017) ed identificati ai fini Iva in Italia (per il tramite di una stabile organizzazione, ovvero con la nomina di un rappresentante fiscale ai sensi dell’articolo 35 D.P.R. 633/1972 o mediante identificazione diretta ai sensi del successivo articolo 35-ter).
Ciò sulla base della considerazione per la quale, in ambito comunitario, è da tempo in atto un processo di armonizzazione del diritto societario, non circoscritto al settore tributario (Cfr., Regolamento 8 ottobre 2001, n. 2157), per cui è opportuno addivenire ad una interpretazione evolutiva delle norme disciplinanti l’istituto dell’Iva di gruppo.
Per l’effetto, l’applicazione di detto regime deve potersi estendere anche alle società di capitali residenti in Paesi comunitari che, alla stregua delle statuizioni vigenti nello Stato di residenza, assumono forme giuridiche equipollenti alle società di capitali di diritto italiano.
Tale valutazione di equipollenza o pari rilevanza giuridica dovrà essere effettuata caso per caso, alla luce di un esame comparativo della normativa vigente nello Stato di residenza della singola società comunitaria con quella delle società di capitali richiamate nel citato D.M. 11065/1979.
Resta inteso che la società non residente dovrà far valere non soltanto la predetta equipollenza giuridica, ma anche la ricorrenza degli altri presupposti richiesti dalla norma, compreso il requisito temporale e quello relativo al possesso delle azioni o quote.
Recentemente, invece, con il principio di diritto n. 24 del 19.11.2019, oltre a ribadire quanto sopra evidenziato, l’Agenzia delle Entrate ha osservato che tale interpretazione si è resa necessaria «al fine di evitare ogni profilo di incompatibilità della disciplina dell’Iva di gruppo con il diritto comunitario» e, segnatamente, con il disposto dell’articolo 49 TFUE, ai sensi del quale sono vietate le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro.
In definitiva, posto che sono vietate le discriminazioni a carico di soggetti comunitari non residenti nel Paese di destinazione della prestazione, l’Agenzia delle Entrate ha concluso che «la medesima tutela non si estende, dunque, ai soggetti residenti in Paesi extra UE che, pertanto, non possono accedere alla liquidazione Iva di gruppo».