La mediazione tributaria tra gli “oneri di compliance”
di Enrico Ferra
Nel corso dell’Audizione del 12 marzo 2014, il Presidente della Corte dei Conti ha fatto il punto delle cose da fare per raggiungere la tanto auspicata semplificazione normativa ed amministrativa.
In particolare, nel paragrafo dedicato alla semplificazione fiscale ha individuato i cosiddetti “oneri di compliance”, ossia i costosi e laboriosi adempimenti che, associati alle caratteristiche proprie dei diversi tributi, contribuiscono a rendere oltremodo complesso il funzionamento del sistema fiscale.
La semplificazione e il miglioramento andrebbero misurati, nell’ottica della Corte dei Conti (e dell’uomo medio), sulla base di un semplice trade off tra i vantaggi effettivi che ciascun adempimento è in grado di produrre per l’Erario e i relativi costi amministrativi sopportati dai contribuenti.
Dall’analisi e dalla contrapposizione degli interessi dell’Erario e dei contribuenti, la Corte individua alcuni casi di inutile e dannosa complessità.
Un caso sicuramente innovativo e interessante è quello degli studi di settore. Attualmente, ci sono oltre duecento studi di settore che coinvolgono un gran numero di soggetti rispetto ai quali l’efficacia dello strumento è assolutamente discutibile, a causa della natura dell’attività, dell’insufficiente numerosità del campione o delle forti differenze territoriali dei soggetti inclusi in ciascuno studio. Sarebbe quindi preferibile e più convincente, a parere della Corte, limitare l’operatività degli studi di settore a quelle attività che si rivolgono al consumatore finale e presentano oggettive difficoltà di controllo dei ricavi conseguiti.
Vi è poi la censura della mediazione tributaria obbligatoria, recentemente “nobilitata” dalla Legge di Stabilità per il 2014. L’istituto, introdotto a decorrere dal 1° aprile 2012 per le controversie riguardanti gli atti emessi dall’Agenzia delle Entrate di valore non superiore a 20.000 euro, risulta essere una procedura onerosa per il contribuente che dissimula molto spesso l’autotutela che l’amministrazione avrebbe dovuto adottare senza alcuna formalità. E, infatti, il contribuente deve necessariamente passare per la mediazione anche qualora non intenda chiedere alcunché all’Ufficio.
Il monito della Corte non è che una conferma di ciò che era chiaro fin dall’inizio e cioè che la mediazione tributaria è un inutile ed oneroso appesantimento procedurale, soprattutto per i contribuenti che non hanno intenzione di proporre alcuna mediazione, considerato anche l’ampio ventaglio di istituti deflativi del contenzioso (si veda sul punto “L’Agenzia fa il punto sui risultati della mediazione” di Massimo Conigliaro del 15 marzo 2014). Sarebbe, invece, preferibile “un obbligo generale ed effettivo di autotutela a carico dell’amministrazione, anche in caso di errore del contribuente, con l’unico limite del giudicato (favorevole all’amministrazione) e senza onerose formalità a carico dell’interessato”.
La bocciatura della mediazione tributaria da parte della Corte dei Conti ha subito sortito l’effetto sperato. E infatti, con un comunicato stampa del 14 marzo 2014, l’Agenzia delle Entrate ha fatto sapere di essere molto soddisfatta dei risultati di un anno e mezzo di mediazione tributaria: le mini controversie sarebbero scese del 25% nei primi nove mesi del 2013 (passando da 59.000 a 44.229) “rispetto allo stesso periodo del 2012” con un indice di definizione (su tutto l’anno e mezzo) del 57%, dove l’indice di definizione non è altro che il rapporto tra le mediazioni chiuse rispetto a quelle attivate.
Volendo essere pignoli, non appare del tutto corretto confrontare i primi nove mesi del 2013 con lo stesso periodo del 2012, considerato che la mediazione tributaria si applica solo in relazione agli atti notificati dal 1° aprile 2012. La domanda in ogni caso è un’altra: quanto ci hanno guadagnato i contribuenti?