7 Luglio 2014

La mia prima settimana col pos

di Giovanni ValcarenghiPaolo Noventa
Scarica in PDF

A pochi giorni dal “lancio” della operazione del POS obbligatorio, appare utile provare a tracciare un primo bilancio della esperienza che, vale subito la pena di ribadire, riteniamo inutile e ridicola. Vogliamo parlare di bilancio per il semplice fatto che, quando argomenti di natura tecnica e/o amministrativa sono trattati alla stregua di fatti di cronaca dalla grande informazione, ne esce sempre un panorama sconsolante e fuorviante.

Innanzitutto sfatiamo un mito: non è vero che l’obbligo di installazione del POS serve a prevenire o ridurre l’evasione fiscale, con buona pace dei tanti “tromboni” che hanno cercato e cercano di spacciare la vicenda come una questione di civiltà tributaria. Infatti, la normativa non prevede alcun obbligo di effettuare i pagamenti superiori a 30 euro con strumenti tracciati, bensì unicamente l’onere (che grava sul soggetto attivo) di concedere la possibilità di effettuare il pagamento elettronico al cliente che ne faccia richiesta. Quindi si può ancora tranquillamente pagare in contante rispettando l’unica soglia seria dei 999,99 euro che discende dalla normativa antiriciclaggio.

In secondo luogo sfatiamo un altro mito: l’evasione fiscale (quella di basso cabotaggio) richiede sempre due protagonisti, chi paga e chi incassa. E non ci si venga a dire che il cittadino è inconsapevole delle vicende reddituali del suo fornitore, perché proprio non ci crediamo. Se, ad esempio, si entra in un negozio e si paga un acquisto di 500 euro con il bel denaro contante (che, confessiamo con un po’ di vergogna, ci conferisce estremo godimento quando – nelle nostre tasche – gonfia il portafogli!), è sufficiente richiedere lo scontrino fiscale. Quindi, il fatto che il negoziante sia o meno munito di POS non interessa proprio nulla. Anzi, ove si vorrà continuare ad utilizzare il contante per operazioni non fiscalizzate, si costringerà il POS a divenire “spettatore inconsapevole” dello scambio di contante (che ci sia qualche microspia nelle macchinette?)

Casomai, si dovrebbe dire che il cittadino “timido” che non abbia il coraggio di richiedere lo scontrino, la ricevuta o la fattura (vergognandosi enormemente nel pronunciare questi termini scabrosi), chiedendo il pagamento con il POS o con la carta di credito dovrebbe implicitamente costringere la controparte a fiscalizzare l’operazione (ma anche su questo fatto non vogliamo mettere la mano sul fuoco).

Certamente, si deve considerare che, una volta canalizzata la gran parte delle transazioni su canali tracciati, sarà certamente più semplice ricostruire le vicende reddituali dei singoli; non solo di chi incassa, ma anche di chi spende. Ma per fare ciò si deve avere il coraggio di dichiarare i propri intenti e non di mascherarli sotto false operazioni (peraltro con ottimo successo, visto il numero dei fresconi che abboccano).

In terzo luogo, si è dimostrata per l’ennesima volta la completa impreparazione del Legislatore, che afferma dei principi generali e non si cura delle conseguenze pratiche che ne derivano. L’artigiano itinerante che si reca presso il domicilio del contribuente dovrà non solo avere un POS, ma dotarsi di un sistema mobile per portare la fatidica “macchinetta” con sé. Il professionista che lavora in più studi dovrà anch’egli preoccuparsi di essere “POS – compatibile” in ogni postazione. Il soggetto che si reca presso un suo cliente e che, nell’occasione, voglia incassare quanto a lui dovuto, si potrà vedere opposta la scusa della mancanza del POS (ti pagherei volentieri, ma non ho contanti con me …).

Un cliente di studio che fa il medico (ma potrebbe essere un fruttivendolo) ci ha detto con sano pragmatismo: fuori dal mio studio c’è uno sportello bancomat, se un cliente non ha i contanti vuol dire che lo accompagnerò (ben 10 metri di tragitto!) fuori per fare il prelievo, magari riconoscendogli uno sconto della commissione che dovrà eventualmente sostenere. Di fatto, non abbiamo consentito al cittadino di pagare con sua estrema comodità?

Insomma, a noi pare davvero una vera e propria commedia all’italiana (peraltro mal riuscita), così come ha sapore di cosa poca seria la circostanza che vi sia un obbligo senza che siano previste delle sanzioni per le violazioni. Si è fatta una stima di quante sono le commissioni su incasso che sostiene ogni anno il sistema Italia? Ci si è chiesto se sia legittimo far pagare agli operatori questo prezzo a fronte dell’incapacità del sistema di intercettare l’evasione (peraltro facendo un cadeau al sistema bancario)? E’ noto, a chi di dovere, che quando ci si reca in un distributore e si fa il pieno di carburante, il ritornello più frequente che si ascolta è il seguente: l’importo supera i 100 euro, le dispiace se faccio due distinte transazioni per non pagare la commissione? Non appare mortificante che tanti abbiano richiesto alla propria banca il rilascio della “macchinetta” ad un canone annuo limitato, ripromettendosi di tenerla gelosamente nascosta per evitare di pagare la commissione sulle transazioni?

Lasciamo che sia ciascun operatore a decidere se, per questioni strategiche proprie, intenda o non intenda dotarsi del POS per facilitare la clientela, magari agendo per una sana revisione dell’importo delle commissioni richieste (ognuno deve guadagnare, per carità!); il beneficio indotto della maggiore tracciabilità dei pagamenti arriverà da solo.

Insomma, ci chiediamo davvero dove voglia andare il nostro Paese e, mentre è ancora in corso una discussione senza fine, suona il campanello: speriamo non sia un cliente che vuole pagare con il POS, altrimenti chi gli dice che non l’abbiamo ancora installato?