La motivazione dell’autorizzazione alle indagini finanziarie
di Luigi FerrajoliCon la sentenza n. 17457 del 14 luglio 2017, la Corte di Cassazione è stata nuovamente chiamata a pronunciarsi in tema di validità dell’autorizzazione alle indagini bancarie.
Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate aveva effettuato una verifica su conti correnti accesi da un soggetto e da una società su cui, nell’anno 1999, erano stati effettuati versamenti bancari e prelevamenti per centinaia di migliaia di euro, non giustificati dal legale rappresentante della persona giuridica né evidenziati nei registri obbligatori contabili della società stessa.
Tali rilievi erano stati trasfusi in un processo verbale di constatazione e, con separati avvisi di accertamento, alla società venivano conseguentemente contestati ricavi non dichiarati ai fini Irap ed Iva, mentre ai soci i rispettivi maggiori redditi di partecipazione.
Sia i soci, sia la persona giuridica proponevano ricorsi, accolti in primo grado dalla Commissione Tributaria Provinciale. I successivi appelli coltivati dall’Ufficio venivano rigettati dalla Commissione Tributaria Regionale.
In particolare, il Giudice dell’appello aveva ritenuto che la mancata produzione, da parte dell’Agenzia, di copia dell’autorizzazione a procedere agli accertamenti bancari aveva reso illegittimo l’avviso di accertamento. Per quanto concerne i soci, l’illegittimità degli avvisi di accertamento relativi al reddito di partecipazione traeva origine e giustificazione dall’annullamento dell’atto impositivo inerente il reddito di impresa della società.
Avverso tale decisione, l’Agenzia proponeva ricorso avanti la Suprema Corte, enunciando tre distinti motivi di impugnazione.
In particolare, con il primo, ritenuto poi assorbente dal Giudice di legittimità, l’Ufficio ha affermato la violazione degli articoli 32 D.P.R. 600/1973 (“poteri degli uffici”) e 51 D.P.R. 633/1972 (“attribuzioni e poteri degli Uffici dell’imposta sul valore aggiunto”) ritenendo che l’autorizzazione risultasse dal processo verbale di constatazione richiamato dall’avviso di accertamento e, più specificamente, che la stessa fosse stata rilasciata dal Comando Regionale della Guardia di Finanza.
Il Giudice di legittimità ha accolto tale motivo, enunciando che, in materia di imposte dirette e di imposta sul valore aggiunto, ai fini dell’espletamento delle indagini bancarie l’autorizzazione risponde a finalità di “mero controllo delle dichiarazioni e dei versamenti d’imposta e non richiede alcuna motivazione”.
Per tale ragione, la Corte di Cassazione, richiamando propria precedente giurisprudenza, ha osservato che “la mancata esibizione della stessa all’interessato non comporta l’illegittimità dell’avviso di accertamento fondato sulle risultanze delle movimentazioni bancarie acquisite dall’Ufficio o dalla Guardia di Finanza, potendo l’illegittimità essere dichiarata soltanto nel caso in cui dette movimentazioni siano state acquisite in materiale mancanza dell’autorizzazione, e sempre che tale mancanza abbia prodotto un concreto pregiudizio per il contribuente”.
Inoltre, secondo il Collegio, “l’autorizzazione necessaria agli uffici per l’espletamento di indagini bancarie non deve essere corredata dall’indicazione dei motivi, non solo perché in relazione ad essa la legge non dispone alcun obbligo di motivazione, a differenza di quanto invece stabilito per gli accessi e le perquisizioni domiciliari, ma anche perché la medesima, nonostante il nomen iuris adottato, esplicando una funzione organizzativa, incidente esclusivamente nei rapporti tra uffici, e avendo natura di atto meramente preparatorio, inserito nella fase di iniziativa del procedimento amministrativo di accertamento, non è nemmeno qualificabile come provvedimento o atto impositivo, tipologie di atti per le quali, rispettivamente, l’art. 3 1° comma, L. 7 agosto 1990 n. 241, e l’art. 7 l. 27 luglio 2000 n. 212, prevedono l’obbligo di motivazione”.
La Corte ha considerato meritevole di accoglimento tale motivo e, conseguentemente, ha valutato che in esso fossero stati assorbiti gli altri due, con i quali era stata censurata l’omessa attivazione dei poteri istruttori previsti dall’articolo 7 D.Lgs. 546/1992 mediante l’ordine di esibizione dell’autorizzazione e il vizio di motivazione della sentenza.
Alla luce di ciò, la Suprema Corte ha accolto il ricorso e ha cassato la sentenza impugnata, con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale territorialmente competente, in diversa composizione, la quale dovrà provvedere in ordine anche alle spese del precedente giudizio di legittimità.