La misure atte a provocare la risoluzione con conseguente cessazione dell’imponibilità dei canoni, contemplate nella circolare sopra citata, sono:
- la clausola risolutiva espressa ex art. 1456 del codice civile;
- la risoluzione a seguito di diffida ad adempiere ex art. 1454;
- l’azione di convalida di sfratto ex artt. 657 e ss del c.p.c..
Nello stesso documento di prassi viene avvalorato il carattere generale delle disposizioni di cui all’art. 26 del TUIR, secondo cui i redditi fondiari sono imputati al possessore indipendentemente dalla loro percezione e per il reddito da locazione non è richiesta, ai fini della imponibilità del canone, la materiale percezione di un provento. Pertanto, ove il reddito fondiario sia costituito dal canone di locazione, non rileva il canone effettivamente percepito dal locatore, bensì l’ammontare di esso contrattualmente previsto per il periodo di imposta di riferimento. La rilevanza del canone pattuito, anziché della rendita catastale, opera fin quando risulta in vita il contratto di locazione. Solo a seguito della cessazione della locazione, per scadenza del termine ovvero per il verificarsi di una causa di risoluzione del contratto, il reddito è determinato sulla base della rendita catastale. La circolare stabilisce espressamente: “per le sole locazioni di immobili ad uso abitativo, l’articolo 8, comma 5, della legge n. 431 del 1998, introducendo due nuovi periodi all’attuale art. 26 del TUIR, ha stabilito che i relativi canoni, se non percepiti, non concorrono alla formazione del reddito complessivo del locatore dal momento della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore. Conseguentemente, detti canoni non devono essere riportati nella relativa dichiarazione dei redditi se, entro il termine di presentazione della stessa, si è concluso il procedimento di convalida di sfratto per morosità e, nel caso in cui il giudice confermi la morosità del locatario anche per i periodi precedenti il provvedimento giurisdizionale, al locatore è riconosciuto un credito d’imposta di ammontare pari alle imposte versate sui canoni venuti a scadenza e non percepiti”.
Per le locazioni di immobili non abitativi viene chiaramente esplicitato che:
- il relativo canone, ancorché non percepito, va comunque dichiarato, nella misura in cui risulta dal contratto di locazione, fino a quando non intervenga una causa di risoluzione del contratto medesimo;
- le imposte assolte sui canoni dichiarati e non riscossi non potranno essere recuperate.
Da ultimo giova richiamare la sentenza della Cassazione 21621 del 2015 la quale ribadisce che: “Ai fini dell’imposizione diretta, per le locazioni d’immobili non abitativi, il legislatore tributario ha previsto la regola generale secondo cui i redditi fondiari sono imputati al possessore indipendentemente dalla loro percezione. Sicché anche per il reddito da locazione non è richiesta, ai fini della imponibilità del canone, la materiale percezione del provento. Pertanto, il relativo canone va dichiarato, ancorché non percepito, nella misura in cui risulta dal contratto di locazione fino a quando non intervenga una causa di risoluzione del contratto medesimo. Con la risoluzione del contratto e/o la convalida di sfratto, la locazione cessa e i canoni non possono più concorrere alla formazione del reddito d’impresa. Inoltre, i canoni maturati per competenza e non riscossi possono essere dedotti come perdite su crediti, se sia altrimenti dimostrata la certezza della insolvenza del conduttore debitore e quindi la deducibilità della perdita, non bastando a tal fine il semplice sfratto o l’accertamento giudiziale della morosità”.